Del sentimento religioso considerato come oggetto e fattore di educazione

Del sentimento religioso considerato come oggetto e fattore di educazione

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 Archivio Barnabitico di Roma
Manoscritto n. 165 

 

 

A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:

 

A. Il Testo:

Un grazie dapprima e sincero alla Società che mi ha voluto considerare nella mia qualità di maestro –  qualità o funzione che assorbendo la miglior parte della mia giornata, è il modesto orgoglio della mia vita.   Maestro e sacerdote ad un tempo era   ben naturale che, parlando in una società magistrale, scegliessi a tema del mio discorso il sentimento religioso.  Ché, per fortuna, esso non è ancora divenuto intieramente straniero nella nostra scuola, mettiamo pure che te lo abbiano confinato nelle scuole elementari, come se a dieci anni cessasse per l’uomo il dovere della religiosità   o   questa si potesse e dovesse considerare allora come bella e formata.   Ma se la  religione, almeno nelle prime scuole elementari, rimane, la pedagogia religiosa è da noi completamente trascurata.   Nelle scuole normali, dove non so quale cosa non s’insegni alle future maestre, e dove bene o male queste s’addestrano, s’iniziano a quelli che saranno poi i loro insegnamenti, la religione brilla per la  sua assenza.     Questo aver conservato la religione nelle  Scuole elementari, scacciandola dalle Scuole  normali è una delle tante incoerenze che tradiscono una età di transizione, e un poco anche la pusillanimità per non dir peggio degli uomini che da una cinquantina d’anni governano il nostro paese.    Fuor della  Scuola, nel tempio dove si sente più che per l’addietro il dovere della concezione religiosa del popolo cristiano, i problemi pedagogici che tale educazione implica s’intravedono, non si possono dire ancora   risolti.     Il tema si presenta così davanti a noi con quella specie di verginità che fa l’uomo tutt’insieme più bramoso e più timido di affrontarlo.   Il timore è in gran parte sgombrato in me dal fatto d’essermi proprio in questi giorni capitati fra  (le) mani varii libri d’alto valore che forniscono alla soluzione del   problema nel   titolo del discorso apertamente accennato, preziosi elementi.

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Il libro, questa cosa  tanto provvidenziale moderna, dà   luogo   tra l’altro a strani convegni.   Nello   stesso   scaffale   o   sullo   stesso tavolino s’incontrano spesso, la merci del libro, uomini che sono agli antipodi magari, vuoi fisicamente, vuoi, ciò che più importa moralmente parlando: un Emerson può trovarsi con Platone, e un Nietsche può riposare sopra la Morale Cattolica d’Alessandro Manzoni.     Ora di questi giorni nella mia povera cella s’incontrarono così un gesuita e un positivista, un brillante abate francese e  un acuto filosofo americano.     Permettetemi ch’io vi presenti questi ospiti che mi suggerirono, chi ad un modo e chi ad un altro, tutta si può dire, la mia conversazione odierna.

Luigi Valli [1]  – un giovane signore romano che,rara avis, trova nella ricchezza stimoli e mezzi per gli studi più severi – è venuto a visitarmi con un suo libro sul fondamento psicologico della religione, che è in fondo un’abile, direi se la stima personale di lui non mi costringesse a dir sincera, requisitoria contro la umana religiosità.   Riservandomi a dir poi una parola sulle conclusioni del suo libro, ne accenno qui il metodo [2].   Il lavoro tutto intiero è basato sulla distinzione tra la religiosità umana e le religioni che di quella sono la manifestazione.   È attraverso alle religioni storiche debitamente scrutate e analizzate, che il giovane autore si propone di giungere a determinar bene la religiosità umana – come chi attraverso ai capolavori dell’arte studiasse il  sentimento estetico d’un  uomo, d’un popolo,  o anche della umanità.        Merito [3] indiscutibile del Valli si è di non cercare la religiosità umana solo nella religione più bassa, come fanno pur  troppo molti pseudopositivisti, simili, in ciò, ad un biologo il quale studiasse la vita o unicamente o principalmente nelle   morene  –  ma di non cercarla neanche solo nelle più alte, come fanno alcuni razionalisti simili al biologo che si circoscrivesse nei  mammiferi.     Non   c’è forma o manifestazione di religiosità così alta nella storia umana che non abbia perché umana, qualcosa di umile e di   piccino – come, viceversa, non c’è religione così povera e bassa che non  abbia in sé, purché religione, qualcosa di nobile e di grande.    Altro merito [4] del Valli si è di  non   essere caduto in  un equivoco, a cui si presta la terminologia comune e anche da me adottata, in forza della quale parliamo di  sentimento   religioso.  Ciò suggerisce agli uni l’idea che il  sentimento religioso sia un sentimento sui   generis dagli  altri psicologicamente  diverso –   e a moltissimi insinua l’idea anche più erronea che la religiosità sia tutta e sola questione e affare di sentimento.     Idee sulle quali basta riflettere per scorgerne la vanità.   Il  sentimento religioso non è che il sentimento umano comune, nella sua varietà di gioia di dolore, nelle sue gradazioni di sentimento e di emozione, applicato  a un oggetto religioso.       E  la  sentimentalità non esaurisce psicologicamente la religiosità, pur entrando a costituirla: giacché un sentimento non è possibile  senza  una  rappresentazione che lo precede, e porta con sé una   serie di  desiderii,   propositi che lo seguono.    La religiosità umana ha così la sua base o radice in un mondo di rappresentazioni e la sua  esplicazione in atteggiamenti pratici e operosi della volontà.   Sono appunto le rappresentazioni religiose universali, ossia quelle che stanno sotto a qualunque religione, che il Valli cerca [5] – arduo lavoro dove gli ha nociuto il desiderio di unità,  il semplicismo.     Scolastico  senza saperlo e  volerlo, scartando artificialmente ogni altro elemento, riduce la religiosità come idea a una convinzione del trionfo del bene sul male, convinzione che è figlia unicamente del desiderio … misera illusione!    Così il libro che voleva essere a principio descrizione della religiosità umana e ricerca genetica, si risolve in un giudizio sul valore di essa, giudizio che è una condanna.   E al lettore s’insinua e  cresce nell’animo il sospetto, che la sentenza   abbia,   inconscio e nolente l’autore, influito sul processo, pregiudicandolo.

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Il P. Giorgio Tyrrell [6], nobile figura di pensatore e  di squisito scrittore  inglese, m’è  giunto in camera quasi contemporaneamente col suo  Lex orandi.   Il segreto del libro è nella  Prefazione.   Anch’egli muove dalla   religiosità umana come da un fatto – l’uomo è religioso, come è sociale, come è   estetico,   come è   intelligente.     Bene inteso si riscontrano gradi diversi di  religiosità, appunto come d’estetismo – ci sono persino delle atrofie religiose, come ci sono delle atrofie intellettuali, dei cretini –   ma l’uomo è religioso.   E allora c’è qui, soggiunge il P. Tyrrell,   un criterio sicuro [7] per giudicare delle religioni – sarà ottima quella, che come il Cristianesimo, appaga ottimamente le esigenze   intrinseche di questa spontanea umana religiosità.     Il dato positivo della religiosità umana che era per il  Valli  punto di partenza a una ricerca genetica, è per il Gesuita inglese punto di partenza a una speculazione apologetica.

Né [8] diversa dal Tyrrell la trama del libro per cui ho rivissuto qualche ora buona coll’amico Ab. Klein  La   fait   religieuse   et   la maniere d’observer ” .   Piaccia o non piaccia la religione c’è al mondo, non imposizione di tiranni o inoculazione di sacerdoti astuti – il sacerdote non crea la religione, più di quello che il medico crei la malattia, o il giudice la giustizia – di fronte alla religione  il sacerdote è effetto, non causa, creato non creante.   La religione c’è, come c’è l’arte, come c’è la morale; e allora nulla ci vieta, anzi tutto c’invita a studiarla qual è nelle sue manifestazioni esterne, nel suo spirito intimo.   Ma lo studio qui vuol riuscire e riesce a una apologia per intanto del sentimento religioso stesso   … poi a suo tempo, perché il lavoro del Klein è  appena  incominciato, del sentimento religioso.

Dai tre visitatori precedenti si stacca William James [9] vuoi per la mole imponente davvero, vuoi per il carattere della sua opera.   Il Professore americano era già noto al nostro pubblico per un massiccio volume di Psicologia e per certe conferenze pedagogiche.     Psicologo continua ad essere e psicologo puro vuol essere in questo suo volume novello, ch’egli intitolò La varietà dell’esperienza religiosa, e i traduttori italiani La coscienza religiosa.    Psicologo ricerca nell’anima umana le manifestazioni variissime   della religiosità, ma riserva esplicitamente quello ch’egli chiama giudizio di valore: è bene, cioè, o male la religiosità?  una forza da sviluppare, o una malattia da combattere?  riserva questo giudizio per tutto il libro, non così  però né  tanto che alla fine non accenni per sommi capi le ragioni della sua simpatia religiosa.

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I quattro libri [10] d’uomini  per nazionalità, educazione, professione così diversi hanno certi caratteri comuni   d’alta importanza che metto conto rilevare.

Intanto [11] per prima cosa osservate, anche negli studi religiosi si passa dal campo astratto [12] delle idee, al campo positivo dei fatti – dalla metafisica alla storia e alla psicologia.     È   la   mentalità della nostra generazione che si afferma anche qui.   E su quel terreno scendono non gli increduli soli ma i credenti.    Gli uni e gli altri  però, e questo fa onore a tutti e due, vogliono un esame intiero dei fatti, non una scelta arbitraria.   Poiché cerchiamo luce nel campo psicologico e storico, cerchiamola intiera.     Quindi il positivista Valli non esclude il Cattolicesimo come fatto, mettiamo che  gli  sia antipatico, e il credente Klein non esclude il feticismo, per   quanto lo trovi mostruosamente imperfetto.   È in fondo il vero positivismo, la vera positività.   Il positivismo di coloro i quali si arrestavano (o forse ancora s’arrestano) ai primi tentativi o alle ultime degenerazioni della religiosità umana per conoscere  la  natura di questa, era un positivismo da strapazzo – tal quale come il verismo di quei poeti per cui non era vero che il turpe.

Ma [13] un’altra cosa vorrei che osservaste insieme con questa positività buona, un’altra   cosa   importantissima, che niuno cioè riesce a mantenere in questa sfera di studi, per quanto decisamente positivo, la così detta  obiettività,  o neutralità.     Non ci riescono i credenti, e non è meraviglia, tanto più che essi neanche vogliono essere neutrali, e lo dicono – ma non ci riescono neppure i non credenti, che pure forse vorrebbero, che pure forse professano neutralità.   Vogliono e professano di studiare la fenomenologia religiosa, come si studierebbe la fenomenologia geologica e botanica – dove non c’è nessun bisogno di prender posizione per le cucurbitacee o contro le solonacee.   Qui la neutralità in pratica non riesce; l’argomento tocca troppo da vicino l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo.   Il Klein abate è per la religiosità, ma il Valli finisce contro… il Valli positivista, scienziato … finché si vuole, uomo sempre.    La metafisica, cosa essa che pure va scartata dall’indirizzo   positivo dello spirito moderno, risorge – scartata a principio risorge alla fine.    E come è fatale risorge, è bene risorga lì,   alla   fine, quando di tutto l’enorme materiale umano accumulato può fare tesoro.   E noi proprio di questo materiale fenomenico, storico e psicologico, faremo tesoro subito per il nostro problema [14]:   il   sentimento religioso è oggetto di educazione?

 (segue a pag. 2)

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