Un impegno di carità, quindi, insieme intellettuale e sociale ma quando – dopo aver conosciuto la miseria della città, la sofferenza dell’operaio – visse la tragedia della guerra – trovandosi, in trincea, a fianco di contadini inviati al fronte come carne da macello – la ricostruzione e l’urgenza di trovare i soldi per dare un pane agli orfani che aspettavano un aiuto concreto nelle regioni meridionali118 gli fecero capìre come, nel bisogno – stanchi di teorie e di chiacchiere – si sente, forte, un’unica necessità, quella di azione pratica119.
Punto di svolta di questa consapevolezza rappresentò, per l’intellettuale barnabita, l’incontro col Minozzi. E frutto della loro comunione di intenti germogliò, solida, l’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia120.
Lavorando al progetto, ambizioso, di offrire una casa ai suoi orfani, gli orfani di guerra, e con essa, un’educazione e una famiglia – quella de “i Discepoli”121 – a quanti ne erano rimasti privi piombando nel bisogno, ebbe l’opportunità di confrontarsi, infatti, con tante storie di miseria e povertà, tante storie d’ignoranza e d’abbandono totale.
[pullquote]L’insegnamento si riconosce dai frutti … i frutti di bontà – ex fructibus cognoscetis”…[/pullquote]
L’impegno divenne, allora – anche grazie alla collaborazione della nuova congregazione fondata dal P. Minozzi – sempre più deciso, sempre più sostenuto, talora addirittura febbrile, perché era convinto che “la luce c’è, ma non è luce se non a patto di essere calore – e l’insegnamento …. si riconosce dai frutti … i frutti di bontà – ex fructibus cognoscetis”122
Quale carità, quale calore, si poteva scorgere, nelle discussioni politiche e negli scontri ideologici dove le parole non erano accompagnate da un concreto impegno all’azione, alla responsabilità personale?
Era il momento di avere il coraggio di fare un esame di coscienza.
“L’abbiamo martirizzata questa povera Italia Meridionale – scrive nelle “Lettere Pellegrine” – Governo, giornali, Società scientifiche … con le nostre inchieste, simili a certi medici che tormentano con la reiterata minuzia dei loro esami i poveri infermi.
E col danno ci furono le beffe.” Le inchieste avevano, del resto, lasciato il tempo che avevano trovato ed era gia molto che le condizioni della gente non fossero, nel frattempo, peggiorate!123
Le conferenze continuarono, gli impegni della sua agenda si moltiplicarono, ma, per chi lo ascoltava, il Padre barnabita sembrava cambiato.
Da sempre poco avvezzo alle “scorciatoie” della politica spicciola era ora costretto a girare per regioni in cui alla desolazione delle condizioni sociali si aggiungeva l’ignoranza del ceto politico, la cupidigia dei profittatori124, dei padroni delle terre, e la deplorevole abitudine di uno stato che faceva del provvisorio – quelle delle baracche, in Calabria, ad esempio, dopo il terremoto – un surrogato del definitivo125.
A convivere con una realtà in cui ciascun intento di carità, ciascun impegno di azione civica – perché no, anche una semplice conferenza per raccogliere offerte per i mutilati e gli orfani di guerra – finiva per essere “bollato” come pericolosa azione di sabotaggio politico.
“E’una bella fissazione que(lla) della politica…- scriveva nel 1919 – è una graziosa mentalità di uomini, che avvezzi a far sempre e solo della politica, credono che ogni uomo fattivo debba essere – per forza – un politicante.”126
Suo impegno diveniva, allora, anche quello di “convincere il Paese che ci sono cento forme di attività utilissime e alla politica completamente estranee; – e per questo ripeteva – dobbiamo rimettere la politica al suo posto, che non è il solo né anche il principale… – senza – stancarci di predicare con l’esempio contro l’atroce viltà di chi si nasconde, di chi lancia un sasso…. nascondendo la mano.”127
[pullquote]Ora ho famiglia, tanta famiglia, bisognosissima famiglia, aiutatemi ….”[/pullquote]
Agli amici che lo incontrarono, nei giorni in cui correva per la Penisola alla ricerca di soldi per i suoi orfani, diceva preoccupato: “Sappiate che non sono più il padre Semeria di una volta che faceva conferenze per gli altri. Ora ho famiglia, tanta famiglia, bisognosissima famiglia … aiutatemi …. Non sia detto che un povero padre di famiglia per trovare l’America debba lasciare l’Italia”128.
Visitando gli istituti sparsi qua e là per il Sud – in Campania, in Basilicata, in Puglia, in Sicilia … – aveva, poi, visto quali frutti d’amore, di carità, realizzava concretamente la dedizione, l’affetto dei primi confratelli, delle suore.
Finì per rafforzarsi in lui, ulteriormente, l’idea che “quando ci si para dinanzi, o ci passa daccanto un vero affamato, autentico, è ridicolo e crudele fargli dei bei discorsi, delle esortazioni nobili, delle promesse mirabolanti: un pane, un vero pane è la sola risposta alla sua fame”129.
Nei suoi libri, che continuava a chiamare opuscoli, intanto, il tono si faceva più dimesso e comparivano – qua e là – appassionati consigli:“se l’opuscolo vi piace tenetelo, e mandate una offerta per i poveri orfanelli.L’ho scritto per dare loro del pane”.130
Questa, e solo questa, era, ormai, per il dotto barnabita, la più alta, e più ovvia, forma di carità131.
Apostolo della Carità, era passato – secondo un’ efficace espressione del Cilento – “dalla carità della scienza alla scienza della carità”132 senza – però – per questo rinnegare, minimamente, la sua missione giovanile133.
E se le testimonianze inedite, che vengono alla luce in questi anni, sembrano mostrare che il Semeria – “impedito oltre ogni ragionevole speranza nell’apostolato culturale, e in specie in quello, a lui tanto caro della predicazione”- sia stato dirottato sull’impegno meridionalistico “per bruciarne la prorompente energia spirituale e intellettuale”134 – attraverso un’analisi attenta degli scritti e dell’opera del barnabita, ci sembra di notare, comunque, una esistenza coerente, unitaria: il concetto di carità non si era modificato, si era solo perfezionato, integrato, di una prospettiva, essenziale e complementare.135