Quando, nel 1895, il futuro Pio XII – allora giovane seminarista – in una lettera al Semeria1 ricordava che il suo discorso sull’apostolato di S. Filippo, a Roma, gli aveva fatto riscoprire “come è bello e consolante il pensiero e la speranza di poter consacrare tutta intiera la propria vita al bene dell’umanità – di sacrificare tutti noi stessi all’amore di Cristo e dei fratelli”2 – esprimeva – con la semplicità e l’entusiasmo di un diciottenne – quell’ansia di verità, quell’amore per la Chiesa e per la scienza che spingeva centinaia di persone, nelle basiliche romane, per ascoltare la parola, suadente ma decisa, del famoso oratore barnabita3 .
[pullquote]Uno dei più richiesti, e popolari, oratori sacri della capitale …[/pullquote]
A S. Lorenzo in Damaso alla Cancelleria, infatti, nel marzo 1897, “ la folla si accalcava, …. invadeva l’abside e i gradini dell’altare maggiore.”4 Nell’attesa di vedere, di ascoltare, quello che era divenuto uno dei più richiesti, e popolari, oratori sacri della capitale; colui che aveva inventato la conferenza5 e apriva, nei suoi discorsi, alla speranza, ad un rinnovamento, sincero e radicale, che nonostante trovasse nella Chiesa, non pochi ostacoli, risultò, certamente, riferimento per molti giovani ed intellettuali di fine Ottocento6.
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1. Il Barnabita era stato appena trasferito a Genova per volere dei superiori, in piena crisi modernista. Questo saggio, pubblicato nel 1998 (G. Mesolella “Padre Giovanni Semeria e l’impegno della carità alla luce del Concilio Vaticano II” in “Studi Minozziani”, Potenza, a. II (1998), pagg. 5-40) è scaricabile, in formato pdf , dalla “Bibioteca Virtuale” del sito ed ha costituito, a partire dal 20 maggio 2006, la versione originale della Voce “Giovanni Semeria” su Wikipedia.
2. Cit in: Giovanni Semeria “Lettere a Tommaso Gallarati Scotti” (a cura di C. Marcora), Milano 1987, pagg. VI – VII.
3. L. M. Personè “Lì, sotto il pulpito per ascoltare i “Quaresimali”” in “L’Osservatore Romano”, 24 marzo 1989, pag. 3. Segnaliamo che – mentre nel romanzo “Ilia ed Alberto” [Mondadori, Milano 1932, ora in BUR, MIlano 1994] Alfonso Gatti si riferisce al Semeria chiamandolo, con una libertà poetica, Padre Giacomo scolopio, altri autori fanno, invece, erroneamente, riferimento al Padre barnabita indicandolo come scolopio [N. Siciliani de Cumis (a cura di) “Un Labriola didattico in un campione di elaborati di esame di Pedagogia Generale I”, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Filosofia – Cattedra di Pedagogia Generale I, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2009, pag. XV], come cappuccino [L. Fabi “La prima guerra mondiale, 1915-1918. Storia fotografica della società italiana“, Editori Riuniti, Roma 1998, pag. 31] o come oratoriano [G. Licata “La Rassegna nazionale: Conservatori e cattolici liberali italiani attraverso la loro rivista (1879-1915)”, Edizione di Storia e Letteratura, Roma 1968, pag. 154, nota 90]. Curiosa anche la citazione di S. Giuntini che, nel suo volume “Lo sport e la “Grande Guerra”: forze armate e movimento sportivo in Italia di fronte al primo conflitto mondiale”, stampato per i tipi dell’Ufficio Storico dello Stato maggiore dell’Esercito, nel 2000, ne confonde il nome parlando, addirittura, di “Davide Semeria” (pagg. 77-78).
4. U. Ojetti “A Roma e altrove (per un predicatore)” in “La Tribuna”, Roma , 29 marzo 1897.
5. Carlo Bellò ”Una lettera inedita di Padre Semeria a Mons. Bonomelli” in “Studi Cattolici”, marzo 1968, pagg. 163-170): “Semeria inventò un genere letterario tipico dell’Italia umbertina: la conferenza …. Posta sul sagrato fra cultura ed evangelizzazione, fra spiritualità e ricerca, fra storia e rivelazione, la conferenza divenne convegno di coscienza e di intelletto confusi in un’unica conversazione: dialogo tacito entro la parola viva.”
6. Lo stesso Eugenio Pacelli – dopo il trasferimento del barnabita – confesserà di aver perso “un amico, una guida, un sostegno impareggiabile” (A.M. Erba “Padre Semeria un gigante dal cuore di fanciullo” LDC, Torino 1981, pag. 10).