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  • Del sentimento religioso considerato come oggetto e fattore di educazione

    Del sentimento religioso considerato come oggetto e fattore di educazione

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     Archivio Barnabitico di Roma
    Manoscritto n. 165 

     

     

    A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:

     

    A. Il Testo:

    Un grazie dapprima e sincero alla Società che mi ha voluto considerare nella mia qualità di maestro –  qualità o funzione che assorbendo la miglior parte della mia giornata, è il modesto orgoglio della mia vita.   Maestro e sacerdote ad un tempo era   ben naturale che, parlando in una società magistrale, scegliessi a tema del mio discorso il sentimento religioso.  Ché, per fortuna, esso non è ancora divenuto intieramente straniero nella nostra scuola, mettiamo pure che te lo abbiano confinato nelle scuole elementari, come se a dieci anni cessasse per l’uomo il dovere della religiosità   o   questa si potesse e dovesse considerare allora come bella e formata.   Ma se la  religione, almeno nelle prime scuole elementari, rimane, la pedagogia religiosa è da noi completamente trascurata.   Nelle scuole normali, dove non so quale cosa non s’insegni alle future maestre, e dove bene o male queste s’addestrano, s’iniziano a quelli che saranno poi i loro insegnamenti, la religione brilla per la  sua assenza.     Questo aver conservato la religione nelle  Scuole elementari, scacciandola dalle Scuole  normali è una delle tante incoerenze che tradiscono una età di transizione, e un poco anche la pusillanimità per non dir peggio degli uomini che da una cinquantina d’anni governano il nostro paese.    Fuor della  Scuola, nel tempio dove si sente più che per l’addietro il dovere della concezione religiosa del popolo cristiano, i problemi pedagogici che tale educazione implica s’intravedono, non si possono dire ancora   risolti.     Il tema si presenta così davanti a noi con quella specie di verginità che fa l’uomo tutt’insieme più bramoso e più timido di affrontarlo.   Il timore è in gran parte sgombrato in me dal fatto d’essermi proprio in questi giorni capitati fra  (le) mani varii libri d’alto valore che forniscono alla soluzione del   problema nel   titolo del discorso apertamente accennato, preziosi elementi.

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    *

    Il libro, questa cosa  tanto provvidenziale moderna, dà   luogo   tra l’altro a strani convegni.   Nello   stesso   scaffale   o   sullo   stesso tavolino s’incontrano spesso, la merci del libro, uomini che sono agli antipodi magari, vuoi fisicamente, vuoi, ciò che più importa moralmente parlando: un Emerson può trovarsi con Platone, e un Nietsche può riposare sopra la Morale Cattolica d’Alessandro Manzoni.     Ora di questi giorni nella mia povera cella s’incontrarono così un gesuita e un positivista, un brillante abate francese e  un acuto filosofo americano.     Permettetemi ch’io vi presenti questi ospiti che mi suggerirono, chi ad un modo e chi ad un altro, tutta si può dire, la mia conversazione odierna.

    Luigi Valli [1]  – un giovane signore romano che,rara avis, trova nella ricchezza stimoli e mezzi per gli studi più severi – è venuto a visitarmi con un suo libro sul fondamento psicologico della religione, che è in fondo un’abile, direi se la stima personale di lui non mi costringesse a dir sincera, requisitoria contro la umana religiosità.   Riservandomi a dir poi una parola sulle conclusioni del suo libro, ne accenno qui il metodo [2].   Il lavoro tutto intiero è basato sulla distinzione tra la religiosità umana e le religioni che di quella sono la manifestazione.   È attraverso alle religioni storiche debitamente scrutate e analizzate, che il giovane autore si propone di giungere a determinar bene la religiosità umana – come chi attraverso ai capolavori dell’arte studiasse il  sentimento estetico d’un  uomo, d’un popolo,  o anche della umanità.        Merito [3] indiscutibile del Valli si è di non cercare la religiosità umana solo nella religione più bassa, come fanno pur  troppo molti pseudopositivisti, simili, in ciò, ad un biologo il quale studiasse la vita o unicamente o principalmente nelle   morene  –  ma di non cercarla neanche solo nelle più alte, come fanno alcuni razionalisti simili al biologo che si circoscrivesse nei  mammiferi.     Non   c’è forma o manifestazione di religiosità così alta nella storia umana che non abbia perché umana, qualcosa di umile e di   piccino – come, viceversa, non c’è religione così povera e bassa che non  abbia in sé, purché religione, qualcosa di nobile e di grande.    Altro merito [4] del Valli si è di  non   essere caduto in  un equivoco, a cui si presta la terminologia comune e anche da me adottata, in forza della quale parliamo di  sentimento   religioso.  Ciò suggerisce agli uni l’idea che il  sentimento religioso sia un sentimento sui   generis dagli  altri psicologicamente  diverso –   e a moltissimi insinua l’idea anche più erronea che la religiosità sia tutta e sola questione e affare di sentimento.     Idee sulle quali basta riflettere per scorgerne la vanità.   Il  sentimento religioso non è che il sentimento umano comune, nella sua varietà di gioia di dolore, nelle sue gradazioni di sentimento e di emozione, applicato  a un oggetto religioso.       E  la  sentimentalità non esaurisce psicologicamente la religiosità, pur entrando a costituirla: giacché un sentimento non è possibile  senza  una  rappresentazione che lo precede, e porta con sé una   serie di  desiderii,   propositi che lo seguono.    La religiosità umana ha così la sua base o radice in un mondo di rappresentazioni e la sua  esplicazione in atteggiamenti pratici e operosi della volontà.   Sono appunto le rappresentazioni religiose universali, ossia quelle che stanno sotto a qualunque religione, che il Valli cerca [5] – arduo lavoro dove gli ha nociuto il desiderio di unità,  il semplicismo.     Scolastico  senza saperlo e  volerlo, scartando artificialmente ogni altro elemento, riduce la religiosità come idea a una convinzione del trionfo del bene sul male, convinzione che è figlia unicamente del desiderio … misera illusione!    Così il libro che voleva essere a principio descrizione della religiosità umana e ricerca genetica, si risolve in un giudizio sul valore di essa, giudizio che è una condanna.   E al lettore s’insinua e  cresce nell’animo il sospetto, che la sentenza   abbia,   inconscio e nolente l’autore, influito sul processo, pregiudicandolo.

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    Il P. Giorgio Tyrrell [6], nobile figura di pensatore e  di squisito scrittore  inglese, m’è  giunto in camera quasi contemporaneamente col suo  Lex orandi.   Il segreto del libro è nella  Prefazione.   Anch’egli muove dalla   religiosità umana come da un fatto – l’uomo è religioso, come è sociale, come è   estetico,   come è   intelligente.     Bene inteso si riscontrano gradi diversi di  religiosità, appunto come d’estetismo – ci sono persino delle atrofie religiose, come ci sono delle atrofie intellettuali, dei cretini –   ma l’uomo è religioso.   E allora c’è qui, soggiunge il P. Tyrrell,   un criterio sicuro [7] per giudicare delle religioni – sarà ottima quella, che come il Cristianesimo, appaga ottimamente le esigenze   intrinseche di questa spontanea umana religiosità.     Il dato positivo della religiosità umana che era per il  Valli  punto di partenza a una ricerca genetica, è per il Gesuita inglese punto di partenza a una speculazione apologetica.

    Né [8] diversa dal Tyrrell la trama del libro per cui ho rivissuto qualche ora buona coll’amico Ab. Klein  La   fait   religieuse   et   la maniere d’observer ” .   Piaccia o non piaccia la religione c’è al mondo, non imposizione di tiranni o inoculazione di sacerdoti astuti – il sacerdote non crea la religione, più di quello che il medico crei la malattia, o il giudice la giustizia – di fronte alla religione  il sacerdote è effetto, non causa, creato non creante.   La religione c’è, come c’è l’arte, come c’è la morale; e allora nulla ci vieta, anzi tutto c’invita a studiarla qual è nelle sue manifestazioni esterne, nel suo spirito intimo.   Ma lo studio qui vuol riuscire e riesce a una apologia per intanto del sentimento religioso stesso   … poi a suo tempo, perché il lavoro del Klein è  appena  incominciato, del sentimento religioso.

    Dai tre visitatori precedenti si stacca William James [9] vuoi per la mole imponente davvero, vuoi per il carattere della sua opera.   Il Professore americano era già noto al nostro pubblico per un massiccio volume di Psicologia e per certe conferenze pedagogiche.     Psicologo continua ad essere e psicologo puro vuol essere in questo suo volume novello, ch’egli intitolò La varietà dell’esperienza religiosa, e i traduttori italiani La coscienza religiosa.    Psicologo ricerca nell’anima umana le manifestazioni variissime   della religiosità, ma riserva esplicitamente quello ch’egli chiama giudizio di valore: è bene, cioè, o male la religiosità?  una forza da sviluppare, o una malattia da combattere?  riserva questo giudizio per tutto il libro, non così  però né  tanto che alla fine non accenni per sommi capi le ragioni della sua simpatia religiosa.

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    *

    I quattro libri [10] d’uomini  per nazionalità, educazione, professione così diversi hanno certi caratteri comuni   d’alta importanza che metto conto rilevare.

    Intanto [11] per prima cosa osservate, anche negli studi religiosi si passa dal campo astratto [12] delle idee, al campo positivo dei fatti – dalla metafisica alla storia e alla psicologia.     È   la   mentalità della nostra generazione che si afferma anche qui.   E su quel terreno scendono non gli increduli soli ma i credenti.    Gli uni e gli altri  però, e questo fa onore a tutti e due, vogliono un esame intiero dei fatti, non una scelta arbitraria.   Poiché cerchiamo luce nel campo psicologico e storico, cerchiamola intiera.     Quindi il positivista Valli non esclude il Cattolicesimo come fatto, mettiamo che  gli  sia antipatico, e il credente Klein non esclude il feticismo, per   quanto lo trovi mostruosamente imperfetto.   È in fondo il vero positivismo, la vera positività.   Il positivismo di coloro i quali si arrestavano (o forse ancora s’arrestano) ai primi tentativi o alle ultime degenerazioni della religiosità umana per conoscere  la  natura di questa, era un positivismo da strapazzo – tal quale come il verismo di quei poeti per cui non era vero che il turpe.

    Ma [13] un’altra cosa vorrei che osservaste insieme con questa positività buona, un’altra   cosa   importantissima, che niuno cioè riesce a mantenere in questa sfera di studi, per quanto decisamente positivo, la così detta  obiettività,  o neutralità.     Non ci riescono i credenti, e non è meraviglia, tanto più che essi neanche vogliono essere neutrali, e lo dicono – ma non ci riescono neppure i non credenti, che pure forse vorrebbero, che pure forse professano neutralità.   Vogliono e professano di studiare la fenomenologia religiosa, come si studierebbe la fenomenologia geologica e botanica – dove non c’è nessun bisogno di prender posizione per le cucurbitacee o contro le solonacee.   Qui la neutralità in pratica non riesce; l’argomento tocca troppo da vicino l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo.   Il Klein abate è per la religiosità, ma il Valli finisce contro… il Valli positivista, scienziato … finché si vuole, uomo sempre.    La metafisica, cosa essa che pure va scartata dall’indirizzo   positivo dello spirito moderno, risorge – scartata a principio risorge alla fine.    E come è fatale risorge, è bene risorga lì,   alla   fine, quando di tutto l’enorme materiale umano accumulato può fare tesoro.   E noi proprio di questo materiale fenomenico, storico e psicologico, faremo tesoro subito per il nostro problema [14]:   il   sentimento religioso è oggetto di educazione?

     (segue a pag. 2)

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  • P. Giovanni Semeria e la Conciliazione tra Stato e Chiesa

    La firma dei Patti Lateranensi (1929)

     Bibliografia essenziale

    A. Pubblicazioni edite:

    B. Pubblicazioni su siti internet:

    C. Materiali inediti:

     

    A. Pubblicazioni edite:

    – “Religione e patriottismo” nel “Corriere della Sera”, a. XXVI, n. 80, Milano, 22-23.03.1901, pag. 3;

    – G. Semeria “Idealità buone: Per la scienza – Per la patria – Per il secolo – Per le donne – Per i giovani – Per gli operai – Per la musica ….“, Pustet, Roma 1904, pagg. 41-84;

    – G. Semeria “Prefazione” a L. Lacroix “Il Patriottismo”, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1906;

    – Amicus “L’«Espagnolisme» au Vatican” in “Gil Blas”, Paris, a. 27, n. 9722, 30.05.1906, pag. 2;

    – “Le manifestzioni di esultanza” nel “Corriere della Sera”, a. LIV, n. 39, Milano, 14.02.1929, pag. 6;

    – “La commemorazione del Maresciallo Cadorna” ne “La Gazzetta”, a.XXII, n. 14, Verbania, 20.02.1929, pag. 2;

    – G. Semeria ” Napoleone e Carlo Magno” in “Corriere d’Italia” dell’ 11 febbraio 1929 [ripreso anche in “Mater Divinae Providentiae – Mater Orphanorum”, marzo-aprile 1929, pag. 7 e sgg.];

    – G. Semeria “La conciliazione fra la Chiesa e lo Stato”, Conferenza tenuta al Teatro “La Fenice” di Venezia il 18 febbraio 1929 [ripetuta, nel mese di luglio dello stesso anno anche nella chiesa Mater Admirabilis di Rimini (cfr. “Il Popolo di Romagna”, 27 luglio 1929, cit. da M. Masini “Il Nevone del ’29” in “Ariminum” a. XIX, n. 1, gennaio-febbraio 2012, pag. 17);

    – v. b. “La Città del Vaticano” nel “Corriere della Sera”, a. LV, n. 123, Milano, 24.05.1930, pag. 3;

    – s. n. “Quattro Papi e la Conciliazione” nel “Corriere della Sera”, a. LV, n. 222, Milano, 18.09.1930, pag. 3;

    – G. Semeria “I miei quattro papi” (Leone XIII e Pio X), vol I, Ambrosiana, Milano 1930, pagg. 197 segg.;

    – R. Murri “L’ulivo di Sàntema”, Sapientia Editrice, Roma 1930, pag. 221;

    – “La morte di padre Semeria” in “Malta”, 17.3.1931 [anche in “Il Regime fascista”, Cremona, 17.3.1931;

    – “Padre Semeria e un tentativo di conciliazione vaticana” in “Liguria. Rrassegna mensile dell’attività ligure“, Genova 1940, pagg. 9 e sgg.;

    – U. Janni “Necrologio su Padre Semeria” in A Gentili “Filosemitismo e Ecumenismo in P. Giovanni Semeria”  in “Barnabiti Studi”, Roma, n. 34 (2017), pag. 56;

    – G. De Sando “Giovanni Semeria cappellano militare padre degli orfani di guerra: ricordi ed aneddoti“, Edizione Liber, Milano 1934, pagg. 149-151;

    – R. Farinacci “Padre Giovanni Semeria” (necrologio 1931) cit in: A.M. Gentili “P. Giovanni Semeria nel 75° della morte” in “Barnabiti Studi”, n. 23 (2006), pag. 340;

    – G. Volpe “Italia moderna: 1815-1915″, Sansoni, Firenze 1946, pag. 410;

    – V. Del Giudice “La questione romana e i rapporti tra Stato e Chiesa fino alla conciliazione: con considerazioni sui Patti Lateranensi e sull’art. 7 della Costituzione Repubblicana”, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1947, pag. 166;

    – P. Minozzi “Fra i prodromi della Conciliazione, da 1870-1929. Il grande ideale. La Conciliazione”in “Rivista Romana”, Roma 1957, pagg. 131-135;

    – “Padre Giovanni Minozzi, padre Genocchi e la Conciliazione” in “Annali di N. S. del S. Cuore”, Roma, aprile 1959, pagg. 70-71;

    – G.B. Madia “Storia dell’eloquenza”, Dall’Oglio, Milano 1959, pag. 559;

    – G. Minozzi “Padre Genocchi e la Conciliazione” in “Annali di N. S. del S. Cuore”, Roma, aprile 1959, pagg. 70-71;

    – G. Cappelli “La prima sinistra cattolica in Toscana”, Cinque Lune, Roma 1962;

    – E. Patuelli “Padre Minozzi per la Conciliazione” in “Evangelizare”, a. II (1963), n. 2 (febbraio), pagg. 12-13;

    – G.M. Carpaneto “Fonti per la storia del regio exequatur a S. E. mons. Andrea Caron, Arcivescovo di Genova, 1912-1914″, voll. I-II,  Biblioteca Franzoniana, Genova 1964; 

    – F. Margiotta Broglio “Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla Conciliazione”, Laterza, Bari 1966, pagg. 16-19, 261-280, 284-286;

    –  A. Durante “Andrea Caron e un periodo critico di storia genovese”, Scuola grafica don Bosco, Genova 1966, 

    – L. Bedeschi “I pionieri della D. C. Modernismo cattolico 1896-1906”, Il Saggiatore, Milano 1966, pagg. 5625-560;

    – G. Levi della Vida “Fantasmi ritrovati, Neri Pozza, Venezia 1966, pagg. 104-105;

    – P. Rossi “Padre Giovanni Semeria”  in “Ponente d’Italia”,  Savona, novembre 1966, pagg. 5-8;

    – E. Garin “Cronache di filosofia italiana. 1900-1943”, Laterza, Bari 1966, vol. II, pagg. 450-451;

    – C. Marcora “Lettere del P.G. Semeria a Mons. Bonomelli” in “Il Bene”, Milano, gennaio-febbraio-marzo 1967;

    – L. Galaffu “Attualità dcl padre Semeria” in « Evangelizare”, luglio 1967, pagg. 209-211;

    – G. Vita “Nel suo tempo” in “Evangelizare”, Numero Speciale,  a. VI (1967), n. 8 (agosto), pag. 16;

    – Don Verità “Dio e Patria: un apostolato immortale” nel “Giornale di Bergamo”, 4.10.1967;

    –  U. G. “Padre Semeria non piace a Dell’Acqua”  ne “Lo Specchio”, Roma, 1 ottobre 1967;

    – M. Chouquer “Conciliazione. 1929 -11 febbraio – 1969. Conciliazione tra lo Stato italiano o a Santa Sede” in “Evangelizare”,  a. VIII (1969), n. 11 (gennaio), pagg. 40-42;

    – L. Bedeschi “Mons. Bonomelli, don Clementi e la fine del “non expedit” in “Studi cattolici”, a. 1969, pagg. 9-11;

    – C. Marongiu-Buonaiuti “Non expedit. Storia di una politica”, Giuffrè, Milano 1971;

    – P. T. Pasquali “Sul filo dei ricordi” in “Evangelizare”,  a. X (1971), n. 3 (marzo), pag. 70;

    – G. Gallina “Il problema religioso nel Risorgimento e il pensiero di Geremia Bonomelli (con documenti inediti)”, Università Gregoriana Editrice, Roma 1974;

    – P. Scoppola “Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia” Il Mulino, Bologna 1975;

    – L. Bedeschi “Lineamenti socioreligiosi dell’antimodernismo genovese”  in “Fonti e Documenti”, Centro Studi per la Storia del Modernismo, Urbino, n. 4 (1975), pagg. 7-53;

    – E. Fonzi “I Patti Lateranensi” in “Historia”, febbraio 1977, pag. 9;

    – D. Sorrentino “La Conciliazione e il “fascismo cattolico”: i tempi e la figura di Egilberto Martire”, Morcelliana, Brescia 1980;

    – G. Vassallo “Genova 1912: un tipico caso di contrasto tra Stato e Chiesa” in “Civitas”, XXXI, 10 ottobre 1980, pagg. 9-32;

    – F. Della Rocca “I papi della questione romana(da Pio IX a Pio XI)”, Officium Libri Catholici, Roma 1981, pagg. 65, 133-161;

    –  L. M. De Bernardis ““La Liguria del popolo” e la crisi modernista”, in AA. VV.” Saggi di storia del giornalismo in memoria di Leonida Balestreri”, Istituto mazziniano, Genova 1982, pagg. 187-227 [in partic. pagg. 214 ss];

    – P.E. Taviani “Dalla Costituente alle modifiche del Concordato Lateranense” in “Civitas, Rivista di Studi Politici”, a. XXXVI, n. 4, Luglio-Agosto 1985;

    – S. D’Amico “Dal Diario di Guerra 1916-1917” in “Ariel”, Bulzoni, Roma 1987, pag. 87 [anche in S. D’Amico “La vigilia di Caporettodiario di guerra”, Bulzoni, Roma 1996, pag. 13];

    – G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, Ed. Dehoniane, Roma 1988, pagg. 83-84;

    – R. P. de Tarso “Una Curiosità Semeriana” in “Eco dei Barnabiti”, a. LXXIII (1993), n. 2, Roma, pagg. 54-55;

    – L. Picardi “Cattolici e fascismo nel Molise 1922-1943″, Studium, Roma 1995, pag. 51;

    – C. Monti, A. Scottà, G. Rumi “La conciliazione ufficiosa: diario del barone Carlo Monti incaricato d’affari del governo italiano presso la Santa Sede : 1914-1922”, Vol. 2, Libreria editrice Vaticana, Roma 1997;

    – M. Cattaneo, L. Pazzaglia “Maestri, educazione popolare e società in Scuola Italiana Moderna: 1893-1993”, Ed. La Scuola, Brescia 1997, pag. 197;

    – M. Bocci “Oltre lo Stato liberale: ipotesi su politica e società nel dibattito cattolico tra fascismo e democrazia”, Bulzoni, Roma 1999, pagg. 134, 150;

    – A. Corsetti “Scritti”, Le Lettere, Firenze 1999, pag. 41n;

    – F. Peloso “Conciliazione 1929 – Don Orione al Duce: Firmiamo quei Patti” in “Avvenire”, 14.1.2000;

    – G. Marchi “Don Orione la politica e i politici“, Relazione tenuta al Convegno “Don Orione e il Novecento”, 1 – 3 marzo 2002, Pontificia Università Lateranense di Roma;

    – F. Peloso (a cura di) “Don Orione e il Novecento: atti del convegno di studi, Roma, 1-3 marzo 2002” (a cura di F. Peloso), Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, pag. 67;

    – A.M. Gentili “P. Giovanni Semeria nel 75° della morte” in “Barnabiti Studi”, n. 23 (2006), pagg. 291-377;

    N. LabancaG. Rochat Il soldato, la guerra e il rischio di morire”, UNICOPLI, Milano 2006, pag. 96;

    – F. M. Lovison “Il Cappellano Militare Giovanni Semeria: le «Armonie Cristiane» di un uomo di Chiesa” in ”Barnabiti Studi” n. 24 (2007), pagg. 114-115;

    (segue a pag. 2) 

    Note:

    1. fonte: http://www.clubdomenica.it/immagini new/cronaca/immagini/1929 patti lateranensi.JPG

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  • “Die künstleriche und christlich-apologetische Bedeutung des Romans «Quo vadis»” (1901)

    L’arte e l’apologia cristiana nel Quo vadis di Enrico Sienkievicz

    In questa sezione presenteremo una scheda critica essenziale dei volumi che risultano fondamentali per comprendere il pensiero e l’opera del Padre Barnabita.

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  • “Apologia Chrystyanizmu i sztuka w powieści Henryka Sienkiewicza: «Quo vadis»” (1900)

    L’arte e l’apologia cristiana nel Quo vadis di Enrico Sienkievicz

    In questa sezione presenteremo una scheda critica essenziale dei volumi che risultano fondamentali per comprendere il pensiero e l’opera del Padre Barnabita.

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  • “Idealità buone” (1901)

    Idealità Buone

    In questa sezione presenteremo una scheda critica essenziale dei volumi che risultano fondamentali per comprendere il pensiero e l’opera del Padre Barnabita.

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  • Il Partito Cristiano Sociale

    Il partito cristiano sociale

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     Archivio Barnabitico di Roma
    Manoscritto n. 72 

     

    A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:

     

    A. Il Testo:

    Ci siamo oggi lungamente intrattenuti, io e due amici che seguono da anni attentamente e sur placeil moto austriaco, sulla genesi e la importanza del partito cristiano-sociale, nonché sulle attinenze tra l’Austria e l’Italia.   Credo utile riferire la conversazione nella sua schiettezza.   Chi si ferma poco in un paese non può controllare quanto gli viene riferito: ma la verità ha una sua verosimiglianza fortunatamente!

    Bisogna per intendere la genesi e spiegare la fortuna relativamente rapida del partito cristiano-sociale risalire allo sviluppo della città di Vienna, perché   la capitale  è stata la culla, come  è ancora la rocca del nuovo movimento.   Vienna dal 59, dal 66 in poi subì la legge di sviluppo propria di tutte le capitali dei grandi Stati.   La   vecchia città si allargò: fu tracciato il Ring, furono intraprese enormi costruzioni.   In tutto questo specularono fortunatamente gli Ebrei, che perciò o soli o meglio degli altri superarono la terribile crisi del 1873, ma divennero singolarmente dopo questa crisi il bersaglio dell’odio che il capitale troppo fortunato e non troppo  onesto si accumula  sempre contro.   Nasce così l’ antisemitismo sotto la forma, che si è sempre storicamente formidabile, della invidia sociale.   Naturalmente qui l’invidia si acuisce e si alimenta colle ragioni di razza e di   religione.   Ci   voleva per dar corpo a questo sentimento ancora vago un uomo e una piattaforma.   L’uomo fu il  Lucger, tanto amato e tanto odiato: egli si rivolse alla piccola borghesia, quella che i  nostri cronisti del 300 avrebbero chiamato il  popolo minuto, il popolo vero d’una città come Vienna non essenzialmente industriale, popolo di piccoli commercianti, e lo eccitò gridando al pericolo del   grosso commercio giudaico.     La facile piattaforma fu una serie di   provvidenze   tutrici  del commercio minuto contro la  speculazione  delle grandi  compagnie e dei grandi magazzini.   Il   movimento che aveva per sé  il popolo viennese, e un primo Lucger, si   rivolse diretto e con parole efficaci,  si  accaparrò per il suo carattere antigiudaico le simpatie ardenti del clero secolare e regolare, basso e via via anche alto.   S’è formato così a poco a poco un vero blocco che si chiamò da sé  cristiano in antitesi e per l’antitesi col giudaismo: blocco il quale oltre il contenuto economico e religioso ebbe anche ed ha un contenuto e una importanza politica.

    L’Austria si stava perdendo nella contesa delle nazionalità: nel che men di questo nessuno si ricordava più o tutti si andavano scordando d’essere Austriaci, perché gli stessi tedeschi si  consideravano piuttosto… come tedeschi.   Il Lucger, e qui l’uomo è  nominato in quanto rappresentativo, ha contribuito a ridare in Vienna la popolarità al sentimento austriaco.     Vienna  per lui non è una città tedesca: Vienna è una città austriaca.

    Quando si scriverà la storia, mi diceva una signora molto intelligente, si dovrà dire che noi uomini di quest’alba del secolo XX abbiamo assistito a una specie di resurrezione dell’Austria, e quando si vorrà cercare nei nomi una spiegazione di questo accanto al nome di Francesco Giuseppe bisognerà scrivere quello del burgmeister Lucger.   Questo lato politico del moto cristiano-sociale è quello che deve determinare scarse  simpatie pangermaniche e dovrebbe determinare simpatie italiane.

    Il moto che fin qui economicamente significava difesa della piccola proprietà e del piccolo commercio contro il grosso capitale, difesa religiosa di interessi cristiani contro gli Ebrei, era ristretto o quasi alla capitale: era un partito viennese.   L’ambizione di Lucger era di farne un partito imperiale.   L’occasione gli fu offerta dalla nuova legge del suffragio universale.   Le elezioni portarono bensì al potere più socialisti di quello che si temeva universalmente; ma portò anche molti cristiani-sociali e soprattutto convinse i clericali di vecchio stampo che essi non potrebbero nulla senza i cristiano-sociali,   come questi non potrebbero quanto ambivano senza l’appoggio dei così detti clericali.     Le due ali si fusero e il partito potè assumere nel Parlamento una parte preponderante.

    Il sociologo ha qui da osservare il connubio delle due forze economiche e religiose: l’evolversi del vecchio clericalismo nella nuova democrazia cristiana.   Il sociologo maliziosetto e malevolo dirà che la democrazia investe anche il vecchio cristianesimo, che questo fa uno sforzo supremo e innaturale per ringiovanirsi.   Chi pensa invece quanto fondo sanamente democratico ci sia nel Vangelo non si meraviglierà di un connubio, che ha certo i suoi lati nuovi, problematici, magari pericolosi ( qual opera di vita fu mai   senza   rischi), ma che promette d’essere così vigorosa e feconda di frutti così religiosi come sociali.   Il mondo austriaco per queste vie si trasforma: ecco la realtà innegabile.   Il popolo avrà tutta una serie di riforme elevatrici, avrà necessariamente tutta una nuova educazione politica,  che lo stesso partito liberale non gli ha saputo dare.

    Quanto a questo fenomeno del connubio economico-religioso, è  interessante a studiarsi il lato politico.   L’Austria esce da questo crescere del partito cristiano-sociale,  esce più   forte.   Dobbiamo noi Italiani rallegrarcene o dolercene?   Ecco  se  noi  continuiamo  ad  essere dei sentimentali impenitenti, dei quarantottisti cristallizati, malediciamo a Lucger, ai cristiani-sociali, all’Austria risorgente.   Ma la politica estera soprattutto non si può fare a base di sentimentalità vaghe; il 48 è passato e la condizione generale d’Europa è oggi ben diversa da quella d’allora.   C’ è tuttavia fra noi chi spera che alla morte di Francesco Giuseppe quem Deus diu sospitem servet l’Austria si debba sfasciare.   Ahimè cosa ci guadagneremmo noi?   noi Italiani?   Forse di avere Trento: certo d’ avere alle porte, d’avere sull’adriatico con Trieste per porto un Impero Germanico forte subito di  ben 80.000.000 d’uomini che potrebbero divenire diventare anche 100: un impero essenzialmente militare,   un Impero che sarebbe una minaccia terribile per tutta l’Europa.   Se non ci fosse l’Austria bisognerebbe crearla e poiché c’è bisogna mantenerla e benedire chi la mantiene salvando l’Europa e noi da una spaventosa egemonia di un rinnovato Impero, che sarebbe come il Romano militaresco, ma non sarebbe più sacro.   Questa è la realtà, tutto il resto è poesia.

    Ma l’Austria limite alle ambizioni pangermaniste, ove sia e rimanga fortemente costituita in sé  stessa, ove appaia a Tedeschi e Ungheresi e Boemi come una patria, non sarà una minaccia per l’Italia?   La difenderà dalla Germania ma la insidierà per conto proprio.   Anche qui bisogna intenderci.

     

    B. Per approfondire:

    – G. Semeria “La questione sociale e la Chiesa” in “La Rivista Internazionale di scienze sociali”, Roma, agosto 1893, pagg. 554-578;

    – G. Semeria “Dalla conferenza «Giovani cattolici e cattolici giovani»” in “Strenna del Circolo S. Alessandro di Genova” a. 1897, pagg. 103 e segg.;

    – G. Semeria “Azione cattolica sostanza vecchia in forma nuova”, Conferenza tenuta nella Chiesa di S. Carlo ai Catinari di Roma, pubblicata, in sunto, su  “La Cultura Sociale”, 6.12.1898, pag. 384;

    – G. Semeria “L’Eredità del secolo”, Pustet, Roma 1900, pag. 9;

    – G. Semeria “Democrazia cristiana e socialismo” in “Il Risveglio Cattolico” di Mondovì, a. IV, n. 53 del 3.07.1901;

    – G. Semeria “Le vie della fede. Contributi apologetici“, Libreria Pontificia Federico Pustet, Roma 1903;

    – G. Semeria ““Idealità buone: Per la scienza – Per la patria – Per il secolo – Per le donne – Per i giovani – Per gli operai – Per la musica – Per i monti – Per la ginnastica – Per le feste”,  Federico Pustet, Roma 1904, pag. 27;

    – G. Semeria “L’eredità del secolo“, Federico Pustet, Roma 1900, ristampato, in edizione contraffatta, a cura della Tipografia “L’Arte Bodoniana” di L. Rinfreschi, Piacenza 1903 e dell’Editore Madella, Sesto S. Giovanni 1916;

    – G. Semeria “lettere pellegrine”, Soc. Ed. Vita e Pensiero, Milano 1919;

    – G. Semeria ”   “Gioventù cattolica e partiti politici ” in “Conquista popolare” , 3.10.1922;

    – G. Semeria “Politica in diciottesimo” in “Vita Nostra”, Firenze, a. I, n. 2 (febbraio 1921), pagg. 54-56; a. II, n. 1 (gennaio 1922), pagg. 2 e segg.; a. III, n. 1 (gennaio 1923), pagg. 106 e segg.; a. III, n. 1 (gennaio 1922), pagg. 79 e segg., pagg. 101 e segg., pagg. 106 e segg., pagg. 140 e segg., pagg. 207 e segg.;

    – G. Semeria *Liberalismo socialismo comunismo e Democrazia cristiana”, La Diana Scolastica, Bologna 1948;

    – P. Scoppola “Coscienza religiosa e democrazia nell’Italia contemporanea”, Il Mulino, 1966, pag. 321;

    – C. Argenta “Un maestro di impegno civile per i cattolici di ieri e di oggi” in “L’Avvenire d’Italia” Bologna 15.12.1967;

    – G. Semeria “I miei quattro Papi (Benedetto XV)” vol. II, scuola Tip. Orfanotrofio Maschile, Amatrice 1931, pag. 148;

    – F. Sala “Padre Semeria Barnabita”, L.I.C.E., Torino 1941, pag. 181;

    – G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, Ed. Dehoniane, Roma 1988, pagg. 177-180;

    – G. Semeria “Le tre coscienze, loro genesi e loro natura” in appendice a: G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, op. cit., pag. 261;

    – G. Semeria “Lettere ai giovani cristiani” (a cura del gruppo editoriale Zaccaria), La Voce, Milano 1990;

    – G. Mesolella “P. Giovanni Semeria e l’educazione alla responsabilità” in “Evangelizare”, a. IV, n.1/2, gen./feb. 1999, pagg. 4-5;  n.3/4, mar./apr. 1999, pagg. 11-12;  n.5/6, mag./giu. 1999, pagg. 4-5;  n.9/10, set./ott. 1999, pagg. 6-7;  n.11/12, nov./dic. 1999, pagg. 4-5;

    – A.M. Gentili “P. Giovanni Semeria nel 75° della morte” in “Barnabiti Studi”, n. 23 (2006), pagg. 329-377;

    – D. Veneruso “P. Giovanni Semeria e la democrazia”  in  ”A 75 anni dalla morte del Servo di Dio P. Giovanni Semeria”, “Barnabiti Studi”, n. 25 (2008)., pagg. 265-276;

    – G. Mesolella “P. Giovanni Semeria e la questione meridionale” in  ”A 75 anni dalla morte del Servo di Dio P. Giovanni Semeria”, “Barnabiti Studi”, n. 25 (2008), pagg. 315-350;

    – G. Mesolella “Padre Semeria. L’impegno dei cattolici nella società e nella Chiesa” in “Evangelizare”, a. XXI, numero speciale (luglio-agosto 2014), pagg. 6-34;

     

    (continua a pag. 2)

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  • Una parola da buoni fratelli su un interesse comune (1890)

    Una parola da buoni fratelli

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     Archivio Barnabitico di Roma
    Manoscritto n. 68 

     

    Lettera al Direttore della “Voce” sulla partecipazione dei cattolici alla vita politica

    A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:

     

    A. Il Testo:

    Pregiatissimo Signor Direttore,

    Le sarò da parte mia molto riconoscente se, quand’Ella lo giudichi opportuno, vorrà far un posticino nel suo giornale così benemerito della buona causa a queste mie chiacchiere.

    Giorni addietro comparvero sull’Unità Cattolica varie lettere che io conosco solo per qualche brano riferitone in altri giornali più specialmente per un articolo della Voce della Verità , dove ne erano riassunti i concetti fondamentali.   In quelle lettere e in questo articolo si dimostra od almeno si cerca di mostrare essere opportunissimo e direi quasi necessario che i cattolici continuino in quella astensione dalla vita politica, che s’è finora seguita.   Avendo io in animo di esporre alla buona quelle considerazioni che da lungo tempo mi fermentano in capo e che quegli articoli hanno eziando più vivamente ridestato m’è necessario premettere alcune avvertenze per non dar luogo ad equivoci.

    Sono cattolico e quindi debbo e voglio innanzi tutto mantenuta l’ obbedienza e la carità.   L’obbedienza, come è chiaro, mi fa esternamente ed internamente rispettoso per le disposizioni del Papa, a cui spetta dirigere la lotta e tracciare la linea di azione.   Or bene il Papa sulla questione della partecipazione alla vita pubblica si è pronunciato abbastanza chiaramente da non venir frainteso. Però mi si permettano due osservazioni che mi paiono giuste. Le disposizioni del Papa a questo proposito non sono di quelle disposizioni assolute che non possono venir mutate, come tutte le disposizioni dogmatiche e morali. Qui si tratta invece, e su questo punto non ho mai veduto far questione, di una misura di prudenza, d’una linea d’azione che domani il Papa, cessate certe ragioni e sortene certe altre, potrebbe credere opportuno di cangiare.   Ora i lodati articoli contengono oltreché la giustificazione della politica presente, un accenno quanto si vuole implicito alla futura, checché ne sia, delle intenzioni degli scrittori (delle quali non ho certo il segreto).   Dai loro scritti traspare questa aspirazione che pel bene vero della Chiesa e dell’Italia, bene che niun cattolico italiano può scompagnare, si continui nell’astensione finora praticata.   Chi dice: la strada che si batte hic et nunc è buona, ed è la sola buona, un’altra strada per cui qualcuno vorrebbe mettersi mena al deserto e al precipizio, costui, voglia o no, viene a dire: Teniamo ora e sempre la stessa strada, né la si cangi per tutto l’oro del mondo.   Orbene se si può legittimamente aspirare ad una politica avvenire che sia la continuazione della presente, non veggo perché non si possa aspirare ad una politica che ne sia diversa: giacché esiste forse anche per gli anni avvenire qualche disposizione del Papa?   Se si lavora con gli scritti a preparare la continuazione non vedo perché non si possa preparare una qualche novità.

    Ma dell’avvenire lasciamo alla Provvidenza il pensiero, e fermiamoci nel presente. Stando al presente mi preme che si distingua tra una disposizione e le ragioni che non il Superiore, mai suddito, anche ottimamente intenzionati ne arrecano.   Se il Papa ha manifestato particolari ragioni e precise dell’ordine dato d’astenesi dalle urne politiche, io mi guarderò bene dal disertarle. Ma finché mi si portano da altri che non è il Papa delle ragioni che possono essere quelle del Papa e possono non esserlo, mantengo il mio diritto di discuterle.   Ed è questo diritto precisamente che vorrei esercitare in queste noterelle. Col che, ben inteso, non intendo punto di ledere la carità.    Se ci fu e ci è al mondo discussione che non debba offendere la carità è certo quella che si fa tra cattolici e più che altro la presente.   Siamo cattolici e ciò vuole dire che siamo fratelli non solo in Adamo non solo in Gesù Cristo, ma fratelli nella vera famiglia di Gesù che è la sua Chiesa: abbiamo comuni le aspirazioni e i principii. Il che non toglie, è vero, che ciascuno non possa avere sul modo migliore di attuare i principii e realizzare le comuni aspirazioni qualche sua veduta particolare, e che non possa nei limiti concessi palesarla; ma toglie che tale manifestazione sia a detrimento della carità, perché non lede l’ unione che della carità è la base: in necessariis unitas. Ed affinché i modi  della manifestazione non rendano nociva alla carità quella manifestazione che in sé medesima è innocua, farò del mio meglio per tenermi entro i limiti di una discussione  non solo urbana, non solo amichevole, perché non siamo solo uomini ed amici, ma fraterna, perché siamo e vogliamo essere fratelli.   Perciò stesso protesto di rispettare le vedute di coloro con cui imprendo a discutere ed anticipatamente ritiro ogni parola che potesse sembrare offensiva. Solo prego tutti a volermi leggere spassionatamente, e se qualcuno desse mai tanto peso a queste chiacchiere da voler rispondere, aspetti a farlo quando avrò finito di esporre tutto il mio pensiero.

    Dopo questo preambolo, a dir vero un po’ lungo ma non inutile, eccomi all’articolo della Voce della Verità (Venerdì 25 aprile 1890 Le mani nette).   Dopo un esordio molto più breve del mio l’articolista entra in materia.   La sua impresa, il suo obiettivo è precisamente quello di disilludere il manipolo di illusi che aspirano al vanto di essere i pionieri di una nuova maniera di svolgere l’azione cattolica nella società civilee nella politica italiana. Il qual linguaggio mira, implicitamente, a gettare su di costoro quel dirò così disprezzo che accompagna sempre, volis nolis (vuoi o non vuoi ndr) la minoranza; e molto più quella che invece di poter mostrare dei fatti passati o presenti non può mostrar che aspirazioni.   Su questo manipolo l’articolo della Voce ama di scherzare urbanamente e la fine, rispondendo secondo le migliori regole, al principio li battezza appunto come i poeti della gran questione che oggi si dibatte tra la Chiesa e lo Stato italiano.

    Quando sarò anch’io giunto alla fine (chi sa quando? perché senza aver ancora un concetto molto esatto dei limiti entro cui mi conterrò, ho un  quasi presentimento che non debbano essere troppo bravi) sarà il momento di dire una parola su questa poesia.   Intanto restringendomi alla quistione del numero, dirò che l’osservazione è al tutto fuor di proposito. Dapprima non credo che si sia mai fatto nessun censimento per contarli. In secondo luogo ci sono molti, forse più che la Voce non pensa, i quali appartengono a questo manipolo, ma non tutti hanno modo di farsi sentire, né hanno la smania di far sapere le loro aspirazioni. Ciò non ostante gli ultimi fatti di Roma all’Unione Romana (fatto che la Voce ha avuto la prudenza di seppellire in un glaciale silenzio) mostrano abbastanza se, almeno qui in Roma, sono poi tanto pochi questi pionieri: e fuor di Roma, non credo che sian meno, se pur non sono di più.   Ma, detto questo, unicamente per metter le cose al loro posto e per far conoscere tutta intera la verità, soggiungerò tosto che i conti sul numero li tengo, come ho detto, fuor di proposito. Non si tratta di vedere se sono pochi o molti, ma se sono illusi o in senno. La Voce li tratta da illusi: ma importa discutere le ragioni di una sentenza, che non è inappellabile.

    Il primo argomento della Voce è questo: Che cosa andreste voi a fare nel Parlamento? Voi non potreste risolvere la quistione romana, che è l’unica quistione interessante pei Cattolici Italiani.   Dunque è inutile che ci andiate.   Anzi sussume, la Voce … ma lasciamo la sussunta per quando avremo detto una parola sull’argomento.

    “Partecipando alla vita politica i Cattolici non possono sciogliere la Quistione Romana.”

    La Voce è un giornale logico, mi permetterà l’uso delle distinzioni.   Ebbene io distinguo: Subito lo conceda. Bisognerebbe essere ben ingenui per immaginare quest’ordine di avvenimenti. Domani il Papa dice: Figli della Chiesa e dell’Italia vi lascio libertà di provvedere in tutti i modi legali alla salute d’entrambe.   Il giorno dopo si fanno le elezioni: i Cattolici maggioranza o minoranza che riescano entrano in Parlamento e vi propongono il trasporto della capitale a Firenze etc.   Ma da non poterla risolvere subito ne vien forse che non potrebbero far nulla per questa benedetta quistione?   Qui parliamoci chiaro, franco e sgombriamo dalle illusioni.

    Primo: essi avvierebbero almeno una qualche soluzione di questa quistione, mentre astenendoci non ne avviamo nessuna.   Questo primo punto mi par chiaro come la luce del sole: chiaro che la partecipazione alla vita pubblica è un qualche avviamento a sciogliere una quistione pubblica: chiaro pure che finora un avviamento pratico non l’abbiamo. Infatti che cosa possiamo noi oggi fare per questa quistione?   Pregare che è la miglior cosa, ma non sufficiente, in questo senso che Dio non aggiusta, almen di solito, Lui direttamente le cose, ma si serve di mezzi creati, umani per aggiustar le cose create ed umane. Ma fuori della preghiera qual mezzo?   Io suppongo che domani si presenti alla Voce della Verità un giovane di bell’ingegno, di cuore e Le dica: Voglio far qualcosa per la Chiesa e la mia patria, e precisamente per sciorre la Quistione Romana. Che cosa mi consigliate? Qui per fortuna la Voce mi risponde nello stesso articolo: “Mano all’opera di sempre più allargare la propria attività tra le classi popolari e fra la gioventù per mezzo delle associazioni cattoliche, della scuola, delle opere religiose e della Stampa Cristiana.”

    (segue a pag. 2)


  • “I miei ricordi oratori” (1927)

    I miei ricordi oratori(1927)

    In questa sezione presenteremo una scheda critica essenziale dei volumi che risultano fondamentali per comprendere il pensiero e l’opera del Padre Barnabita.

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