In questa sezione presenteremo una scheda critica essenziale dei volumi che risultano fondamentali per comprendere il pensiero e l’opera del Padre Barnabita.
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Bibliografia essenziale
– B. Croce “La Critica”, vol. 3, G. Laterza e figli, Bari, 1905, pag. 217; – G. Semeria “Critici francesi e un filosofo italiano intorno a La Fontaine” in “Rassegna Nazionale”, 1° marzo 1914, pagg. 3-25. Ristampato anche in: G. Semeria “Saggi… clandestini”, Edizioni Domenicane, Alba 1967, vol. I, pagg. 305-336; – G. Semeria “Benedetto Croce” nel “Carroccio”, New York, giugno 1920, pagg. 295-297; – “Le Conferenze di Padre Semeria”, nella “Gazzetta livornese” del 6.12.1920; – H. De Ziégler “Notes du jour. Pour le VIe centenaire de la mort de Dante” in “Journal de Genève”, 15 Février 1921; – f. p. “Religione e filosofia d’oggi” in “Popolo di Capitanata”, 1922, a. 1, n. 2, luglio, fasc. 26, pag. 1; – G. Semeria “Da San Tommaso a Benedetto Croce. Il credere e il sapere – la religione e la filosofia” (inedito) in F. Lovison “Il Semeria romano: Da san Tommaso a Benedetto Croce: suggestioni dal VII Congresso Nazionale di Filosofia al tempo della Conciliazione” […], Roma 2015, pagg. 195-199, 203; – C. Antoni, R. Mattioli “Cinquant’anni di vita intellettuale italiana, 1896-1946: scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario”, vol 2, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1950, pag. 287; – F. Capanna “La religione in Benedetto Croce: il momento della fede nella vita dello spirito e la filosofia come religione”, Edizioni del “Centro librario”, Bari 1964, pag. 10; – G. Minozzi “Asili, Asili, Asili” in “Evangelizare”, a. V (1963), n. 5 (maggio), pag. 142; – C. Argenta “Prefazione” a G. Semeria “Saggi… clandestini”, Ediz. domenicane, 1967, vol. I, pag. XI; – G. Gentile, D. Jaia “Lettere a Benedetto Croce”, Vol. II (a cura di M. Sandirocco) Sansoni, Firenze 1969, pagg. 100-101, 302, 353; – A. Capone “Giovanni Amendola e la cultura italiana del Novecento (1899-1914)”, Elia, Salerno 1974, pag. 163; – G. Gentile, B. Croce “Lettere a Benedetto Croce”, Vol. III (a cura di S. Giannantoni), Sansoni, Firenze 1974, pagg. 226, 260; – L. Bedeschi “L’esilio di Padre Semeria (Da uomo di cultura a uomo d’azione)” in «Humanitas», n. 10, ottobre 1967. Ripreso in “Fonti e Documenti”, n. 15 (1986), Urbino, pag. 462; – S. Accame “Scritti minori” , Vol. II, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1990, pag. 851; – P.E. Taviani “Padre Semeria: il messaggio e l’azione per l’unità d’Italia” in “Civitas”, a. 1990, n. 5, pag. 107; – M. Mangiagalli “La “Rivista di filosofia neo-scolastica”: Il movimento neoscolastico e la fondazione della Rivista”, Vita e pensiero, Milano 1991, pag. 121; – L. de Llera, J. Andrés-Gallego “La España de posguerra: un testimonio”, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Madrid 1992, pag. 93; – G. Losito “Cristianesimo e modernità: studio sulla formazione del personalismo di Laberthonnière: 1880-1893”, La Città del sole, Napoli 1999, pag. 52; – F. Lolli “Croce polemista e recensore: 1897-1919″, Il Mulino, Bologna 2001, pag. 121; – B. Desidera “La lotta delle egemonie: movimento cattolico e Partito popolare nei Quaderni di Gramsci”, Il Poligrafo, Padova 2005, pag. 196; – F. Lovison “Giovanni Semeria: dalle “Soirées Italiques” belghe al patriottismo di Dante. Sottolineature europee” in “I Barnabiti nel Risorgimento”, Atti del Convegno, Roma 14-15 gennaio 2011, ”Barnabiti Studi” n. 28 (2011), pagg.199, 202; – M. Squillaci “Il “patriottismo umano” di P. Semeria” in “Evangelizare”, a. XIX, n. 6 (giugno 2012), pag. 6 ; – G. Mastromarino “Giovanni Semeria Giovanni Minozzi due grandi cappellani nella grande guerra”, Suma Editore, Sammichele di Bari 2015, pag. 95; – F. Lovison “Il Semeria romano: Da san Tommaso a Benedetto Croce: suggestioni dal VII Congresso Nazionale di Filosofia al tempo della Conciliazione” in “Ricerche per la storia religiosa di Roma”, vol. 13, “Chiesa e fascismo a Roma negli anni Trenta”, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2015, pagg. 175-203; – S. Dark “Comune di Pescasseroli. Monumento ai Caduti“, su www.turismopescasseroli.it, 10.09.2015; – A. Aprile “In bilico tra fede e scienza. Il confronto di Giovanni Gentile con il modernismo nel contesto storico-ecclesiastico e storico-filosofico italiano ed europeo degli inizi del XX secolo“, Dissertation zur Erlangung des Grades Dr. phil. im Fachbereich Katholische Theologie Kirchenund Dogmengeschichte, Goethe Universität, Frankfurt am Main, sommersemester 2015. |
Note:
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C. La Carità e la filantropia:
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Note:
Per le foto, fonte: Archivio del Centro Studi Storici dei Padri Barnabiti di Roma.
Archivio Barnabitico di Roma
Manoscritto n. 155 *
A. Il Testo: B. Per approfondire: C. Letture consigliate:
Signore,
Oggi più che mai vorrei avere parole nobili 1 come la causa che sono venuto a perorare e gentili come l’uditorio il cui prezioso concorso alla nobile causa si tratta di guadagnare. Oggi vorrei essere davvero eloquente. Ma proprio oggi nel triste confronto tra quello che la mia parola dovrebbe essere e quello che necessariamente, fatalmente sarà avrei ampio argomento di sconforto se non pensassi che alle anime gentili e buone le grandi, e nobili cause s’impongono come da sé, se non sapessi che voi non siete venuti qui a sentire delle parole ornate ma delle cose utili. E l’interesse dell’argomento ho piena coscienza che al mio discorso non manca: si tratta d’ una causa tra le maggiori e più urgenti. La religione corre gravissimo rischio in Italia e con lei pericolano parecchie altre cose a cui non si possono disinteressare e non si disinteressano neppure quelli che alla religione si dicono e sono indifferenti. Gli dei partono e a qualcuno può anche importare poco che il tempio rimanga deserto; ma gli dei portano con sé, partendo, molte cose di cui anche i profani abbisognano. Si può, mie buone signore, non aver nessuna tenerezza, nessuna simpatia pel sole, ma non si può disinteressarsi della luce e della fecondità ch’egli comunica sorgendo al nostro emisfero, ch’egli ne sottrae al suo tramonto. Anche Dio è un sole, il cui sorgere e il cui tramontare negli spiriti è rispettivamente fecondo delle conseguenze più’ gravi.
Io non vi parlerò della guerra che in alto e in basso si muove alla fede, alla religione dei padri: la guerra non è ancora il pericolo supremo; le idee e le istituzioni vive e grandi, come sono le idee cristiane, com’è la istituzione ecclesiastica, la provocano e quasi ne abbisognano per vivere. La guerra è l’ossigeno che entra in apparenza a bruciare, in realtà a dare e mantenere rigogliosa la vita al nostro organismo. Finché si discute la religione è segno che la si apprezza e pur discutendola se ne tien viva la idea, tanto più che la discussione ostile richiama lo sforzo di una apologia variamente sottile ed efficace. E anche quando invece di discutere la religione nel campo delle idee si cerca di opprimerla, e di coartarla con leggi inique nel campo dei fatti, per quanto la guerra assuma una forma più odiosa certo e forse anche più grave, pure si ridestano per forza di reazione, per istinto di vita, certe forze che prima sembravano addormentate spente, e altre divengono per incanto assai più rigogliose ed attive di quello che dianzi, a cose tranquille, si appalesassero. La persecuzione è il soffio impetuoso che certo può spegnere se debole ma che ravviva se ancora resistente la fiamma.
Non dunque lì nella guerra di idee e di fatti, nella discussione ostile nella persecuzione o subdola o palese, non lì è, o almeno non lì a me pare che sia il maggiore e più urgente rischio della fede in Italia. Il grande, l’imminente pericolo è d’altra natura: è una morte per esaurimento che ci si minaccia, non è l’odio che ci uccide è l’indifferenza che ci prostra, non è la discussione è l’ignoranza. Se le cose nostre andranno avanti di quel passo medesimo con cui hanno camminato nell’ultimo trentennio, avremo in enorme maggioranza Italiani Cattolici sì di nome – non avranno né energia né volontà di cambiarlo – ma senza l’ombra di coscienza o di pratica cristiana nella loro vita. E perché questo non vi paia un allarme fantastico – rettorico permettetemi, o signori, di studiare insieme con voi le condizioni della istruzione religiosa in Italia. Sarà un toccare con mano la realtà d’un male, di cui non ci sarà difficile misurare la gravità, ma di cui bisognerà poi trovare insieme, di cui toccherà in gran parte a voi applicare il rimedio.
Giungendo quasi intieramente nuovo in mezzo a voi non posso pur troppo contare su quella efficacia che deriva alla parola da una conoscenza già fatta, da una simpatia già stabilita. Giovi invece, giovi almeno alla mia povera parola l’essere per voi una cosa nuova.
I
Il bilancio della istruzione religiosa in Italia, almeno per quel che concerne lo Stato, è sciaguratamente molto, troppo facile a farsi: si riassume in un bel zero. Costituita appena a nazione, con tenaci sforzi ed insperate fortune, ha cacciato la religione dall’insegnamento superiore universitario, cancellando con un solo tratto di penna le Facoltà teologiche. Non giovò loro per trovar grazia dinnanzi allo Stato la loro antichità che dava ad esse un valore storico; non giovò il carattere scientifico che la religione vi assumeva in una esposizione metodica, in una difesa razionale; non l’integrarsi loro mercé della umana cultura, per cui la loro presenza riusciva garanzia di vera universalità agli Istituti che le ospitavano. E l’ostracismo alla religione continuò via via pei Licei, pei Ginnasii, per le Scuole professionali o tecniche, per tutte insomma le Scuole dove s’insegna in nome dello Stato. L’opera devastatrice s’arrestò solo alla porta delle Classi elementari. Quivi lo Stato, che non ne ha la gestione ma la cura, consentì o forse anche, secondo lo spirito della legge Casati si può dire impose ai Comuni di dare l’istruzione religiosa ai cittadini che la domandano.
Ma badate, o signore, che questa disposizione di legge, ottima in sé, associata com’è, nel nostro sistema, alla esclusione del catechismo dalle scuole superiori riesce una medaglia a due facce, o meglio un’arma a doppio taglio; è un ossequio insieme ed un oltraggio. Conservando la religione nelle Scuole elementari lo Stato ha riconosciuto che la religione ci vuole pei fanciulli; ma limitandola a quelle umili Scuole ha proclamato nello stesso tempo che la religione è cosa da fanciulli. La nostra legislazione su questo punto è una brutta fusione dello spirito scientifico positivista e dello spirito utilitario borghese. La Scuola primaria è la scuola dei fanciulli, e conservando la religione lì, unicamente lì lo Stato ha obbedito alla ispirazione di quel positivismo, così superficiale malgrado tutte le sue arie di profondità, che considera la religione come una forma mentis necessaria alla umanità bambina (o decadente), come la prima fase che l’umanità collettiva ha superato elevandosi via via alle concezioni metafisiche e scientifiche, ma che deve essere per legge atavica rivissuta nella infanzia da ciascun individuo. Ma la Scuola primaria è anche la Scuola popolare, non perché sia limitata al popolo sì perché il popolo è limitato ad essa; e conservando lì unicamente lì la religione, lo Stato nostro ha obbedito alle ispirazioni di quella meschina politica per cui la religione fu considerata e si considera quale strumento di dominazione e freno delle plebi soggette.
Né crediate, o signore, la mia una interpretazione filosofica arbitraria del nostro sistema legislativo. Alle idee che io ho cercato di estrarre dalla nostra legge, alla psicologia complessa di cui la credo risultato e conseguenza, risponde appieno il modo con cui il Catechismo nelle stesse Scuole elementari viene insegnato. La religione è all’ultimo posto meccanicamente e moralmente; è la materia meno importante e la peggio insegnata. Il Regolamento le assegna d’ordinario, anche nelle città migliori, l’ultima ora del sabato, quasi per imprimere intuitivamente nell’animo del fanciullo che la religione… è l’ultima cosa di questo mondo, l’ultima ruota del carro. Ma in quell’ultima ora del sabato, a fanciulli stanchi del lavoro diurno e settimanale, anelanti ormai ad un equo riposo più che attenti all’ultima fatica, come lo si insegna questo povero, questo tollerato catechismo?
Io non sono qui, gentili signore, a dir male dei nostri maestri elementari… paria, veri paria di una classe che non è essa medesima la meglio trattata, la più onorata in Italia, la classe degli insegnanti. No, io sono qui a criticare un sistema non a fare delle maldicenze contro le persone, pronto anzi a riconoscere e confessare subito che queste sono sovente assai migliori di quello e con la loro personale bontà ne correggono gli intrinseci difetti. Di fatti abbiamo maestri e maestre – e più maestre, purtroppo, che maestri – i quali conoscono, amano il Cristianesimo e ne diffondono a sé dintorno, per una benefica legge d’irradiazione, la luce e il calore. Ma la legge nostra – per tornare a lei – che cosa esige da coloro ai quali affida un insegnamento (checché si creda) così importante, così delicato per l’influenza che può avere lungo tutta la vita dell’uomo? La legge non ne esige per questo né la competenza professionale né l’abilità tecnica. D’ordinario non si danno da difendere cause a un medico o infermi da curare ad un avvocato – appena i ministri si scelgono senza questo criterio, affidando mettiamo l’Agricoltura ad un filosofo, o la Marina ad un agricoltore. La religione invece per insegnarla nelle nostre scuole non solo non è necessario essere sacerdoti – che parrebbe nato fatto per istruire religiosamente il popolo come gli avvocati sono nati fatti per difendere le cause… oibò, che vi pare? il prete nelle Scuole: molti inorridiscono al solo pensarvi: – non solo dunque non è necessario essere sacerdoti, ma non si richiede nemmeno l’essere cristiani. Un maestro israelita può benissimo insegnare il Vangelo… e passi per gli israeliti! non sono sempre i meno cristiani: un ateo può benissimo dare ai fanciulli la prima idea di Dio.
E come lo Stato non esige per l’insegnamento religioso nessuna competenza professionale, nessuna neanche la più elementare, così non dà nessuna abilità tecnica. Nelle sue Scuole Normali, fabbriche all’ingrosso di Maestri e Maestre, lo Stato insegna Grammatica, Storia, Aritmetica, Calligrafia… a coloro che di tutto questo dovranno poi dare al popolo i primi, non sempre facili, rudimenti. Ma la religione non si sogna neanche di insegnarla, o anche solo di lasciarla insegnare, a quelli che pure dovranno essere maestri.
* Pubblicato con il titolo “Un grido d’allarme (contro l’indifferenza in fatto di religione)” dalla Tip. della Pace, Lodi 1900, e ristampato in “Le vie della fede. Contributi apologetici”, Libreria Pontificia Federico Pustet, Roma 1903, pagg. 141-161.
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