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  • G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, Ed. Dehoniane, Roma 1988

    G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, Ed. Dehoniane, Roma 1988

    In occasione del 150° anniversario della nascita del P. Semeria, avvenuta a Coldirodi di Sanremo (Imperia) il 26 settembre 1867, rendiamo disponibile, per i nostri lettori, una delle più recenti ed organiche biografie del Padre barnabita, nella certezza che possa offrire loro ulteriori spunti per meglio comprendere l’attualità del suo pensiero e l’importanza della sua opera di studioso, di apostolo della Carità.

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  • I Manoscritti inediti

    L'Archivio dei Manoscritti inediti

     

      A. L’impegno dei laici:

                                                     B. L’Educazione:

      C. La Carità e la filantropia:

      D. Il sentimento religioso:

    A. L’impegno dei laici: 

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    B. L’educazione: 

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    C. La Carità e la filantropia: 

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    D. Il sentimento religioso: 

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    Note:

    Per le foto, fonte: Archivio del Centro Studi Storici dei Padri Barnabiti di Roma.


  • Le condizioni dell’istruzione religiosa in Italia

    Le condizioni dell'istruzione religiosa in Italia

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     Archivio Barnabitico di Roma
    Manoscritto n. 155 *

     

    A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:

     

    A. Il Testo:

    Signore,

         Oggi più che mai vorrei avere parole nobili 1 come la causa che sono venuto a perorare e gentili come l’uditorio il cui prezioso concorso alla nobile causa si tratta di guadagnare. Oggi vorrei essere davvero eloquente. Ma proprio oggi nel triste confronto tra quello che la mia parola dovrebbe essere e quello che necessariamente, fatalmente sarà avrei ampio argomento di sconforto se non pensassi che alle anime gentili e buone le grandi, e nobili cause s’impongono come da sé, se non sapessi che voi non siete venuti qui a sentire delle parole ornate ma delle cose utili.    E l’interesse dell’argomento ho piena coscienza che al mio discorso non manca: si tratta d’ una causa tra le maggiori e più urgenti. La religione corre gravissimo rischio in Italia e con lei pericolano parecchie altre cose a cui non si possono disinteressare e non si disinteressano neppure quelli che alla religione si dicono e sono indifferenti. Gli dei partono e a qualcuno può anche importare poco che il tempio rimanga deserto; ma gli dei portano con sé, partendo, molte cose di cui anche i profani abbisognano. Si può, mie buone signore, non aver nessuna tenerezza, nessuna simpatia pel sole, ma non si può disinteressarsi della luce e della fecondità ch’egli comunica sorgendo al nostro emisfero, ch’egli ne sottrae al suo tramonto. Anche Dio è un sole, il cui sorgere e il cui tramontare negli spiriti è rispettivamente fecondo delle conseguenze più’ gravi.

         Io non vi parlerò della guerra che in alto e in basso si muove alla fede, alla religione dei padri: la guerra non è ancora il pericolo supremo; le idee e le istituzioni vive e grandi, come sono le idee cristiane, com’è la istituzione ecclesiastica, la provocano e quasi ne abbisognano per vivere.   La guerra è l’ossigeno che entra in apparenza a bruciare, in realtà a dare e mantenere rigogliosa la vita al nostro organismo.  Finché si discute la religione è segno che la si apprezza e pur discutendola se ne tien viva la idea, tanto più che la discussione ostile richiama lo sforzo di una apologia variamente sottile ed efficace.   E anche quando invece di discutere la religione nel campo delle idee si cerca di opprimerla, e di coartarla con leggi inique nel campo dei fatti, per quanto la guerra assuma una forma più odiosa certo e forse anche più grave, pure si ridestano per forza di reazione, per istinto di vita, certe forze che prima sembravano addormentate spente, e altre divengono per incanto assai più rigogliose ed attive di quello che dianzi, a cose tranquille, si appalesassero.   La persecuzione è il soffio impetuoso che certo può spegnere se debole ma che ravviva se ancora resistente la fiamma.

         Non dunque lì nella guerra di idee e di fatti, nella discussione ostile nella persecuzione o subdola o palese, non lì è, o almeno non lì a me pare che sia il maggiore e più urgente rischio della fede in Italia. Il grande, l’imminente pericolo è d’altra natura: è una morte per esaurimento che ci si minaccia, non è l’odio che ci uccide è l’indifferenza che ci prostra, non è la discussione è l’ignoranza.    Se le cose nostre andranno avanti di quel passo medesimo con cui hanno camminato nell’ultimo trentennio, avremo in enorme maggioranza Italiani Cattolici sì di nome – non avranno né energia né volontà di cambiarlo – ma senza l’ombra di coscienza o di pratica cristiana nella loro vita.   E perché questo non vi paia un allarme fantastico – rettorico permettetemi, o signori, di studiare insieme con voi le condizioni della istruzione religiosa in Italia.   Sarà un toccare con mano la realtà d’un male, di cui non ci sarà difficile misurare la gravità, ma di cui bisognerà poi trovare insieme, di cui toccherà in gran parte a voi applicare il rimedio.

         Giungendo quasi intieramente nuovo in mezzo a voi non posso pur troppo contare su quella efficacia che deriva alla parola da una conoscenza già fatta, da una simpatia già stabilita. Giovi invece, giovi almeno alla mia povera parola l’essere per voi una cosa nuova.

    I

         Il bilancio della istruzione religiosa in Italia, almeno per quel che concerne lo Stato, è sciaguratamente molto, troppo facile a farsi: si riassume in un bel zero.     Costituita appena a nazione, con tenaci sforzi ed insperate fortune, ha cacciato la religione dall’insegnamento superiore universitario, cancellando con un solo tratto di penna le Facoltà teologiche.    Non giovò loro per trovar grazia dinnanzi allo Stato la loro antichità che dava ad esse un valore storico; non giovò il carattere scientifico che la religione vi assumeva in una esposizione metodica, in una difesa razionale; non l’integrarsi loro mercé della umana cultura, per cui la loro presenza riusciva garanzia di vera universalità agli Istituti che le ospitavano.    E l’ostracismo alla religione continuò via via pei Licei, pei Ginnasii, per le Scuole professionali o tecniche, per tutte insomma le Scuole dove s’insegna in nome dello Stato.     L’opera devastatrice s’arrestò solo alla porta delle Classi elementari.     Quivi lo Stato, che non ne ha la gestione ma la cura, consentì o forse anche, secondo lo spirito della legge Casati si può dire impose ai Comuni di dare l’istruzione religiosa ai cittadini che la domandano.

         Ma badate, o signore, che questa disposizione di legge, ottima in sé, associata com’è, nel nostro sistema, alla esclusione del catechismo dalle scuole superiori riesce una medaglia a due facce, o meglio un’arma a doppio taglio; è un ossequio insieme ed un oltraggio. Conservando la religione nelle Scuole elementari lo Stato ha riconosciuto che la religione ci vuole pei fanciulli; ma limitandola a quelle umili Scuole ha proclamato nello stesso tempo che la religione è cosa da fanciulli.    La nostra legislazione su questo punto è una brutta fusione dello spirito scientifico positivista e dello spirito utilitario borghese.      La Scuola primaria è la scuola dei fanciulli, e conservando la religione lì, unicamente lì lo Stato ha obbedito alla ispirazione di quel positivismo, così superficiale malgrado tutte le sue arie di profondità, che considera la religione come una forma mentis necessaria alla umanità bambina (o decadente), come la prima fase che l’umanità collettiva ha superato elevandosi via via alle concezioni metafisiche e scientifiche, ma che deve essere per legge atavica rivissuta nella infanzia da ciascun individuo.     Ma la Scuola primaria è anche la Scuola popolare, non perché sia limitata al popolo sì perché il popolo è limitato ad essa; e conservando lì unicamente lì la religione, lo Stato nostro ha obbedito alle ispirazioni di quella meschina politica per cui la religione fu considerata e si considera quale strumento di dominazione e freno delle plebi soggette.

         Né crediate, o signore, la mia una interpretazione filosofica arbitraria del nostro sistema legislativo.     Alle idee che io ho cercato di estrarre dalla nostra legge, alla psicologia complessa di cui la credo risultato e conseguenza, risponde appieno il modo con cui il Catechismo nelle stesse Scuole elementari viene insegnato.     La religione è all’ultimo posto meccanicamente e moralmente; è la materia meno importante e la peggio insegnata.     Il Regolamento le assegna d’ordinario, anche nelle città migliori, l’ultima ora del sabato, quasi per imprimere intuitivamente nell’animo del fanciullo che la religione… è l’ultima cosa di questo mondo, l’ultima ruota del carro.     Ma in quell’ultima ora del sabato, a fanciulli stanchi del lavoro diurno e settimanale, anelanti ormai ad un equo riposo più che attenti all’ultima fatica, come lo si insegna questo povero, questo tollerato catechismo?

         Io non sono qui, gentili signore, a dir male dei nostri maestri elementari… paria, veri paria di una classe che non è essa medesima la meglio trattata, la più onorata in Italia, la classe degli insegnanti.    No, io sono qui a criticare un sistema non a fare delle maldicenze contro le persone, pronto anzi a riconoscere e confessare subito che queste sono sovente assai migliori di quello e con la loro personale bontà ne correggono gli intrinseci difetti.     Di fatti abbiamo maestri e maestre – e più maestre, purtroppo, che maestri – i quali conoscono, amano il Cristianesimo e ne diffondono a sé dintorno, per una benefica legge d’irradiazione, la luce e il calore.     Ma la legge nostra – per tornare a lei – che cosa esige da coloro ai quali affida un insegnamento (checché si creda) così importante, così delicato per l’influenza che può avere lungo tutta la vita dell’uomo?     La legge non ne esige per questo né la competenza professionale né l’abilità tecnica.    D’ordinario non si danno da difendere cause a un medico o infermi da curare ad un avvocato – appena i ministri si scelgono senza questo criterio, affidando mettiamo l’Agricoltura ad un filosofo, o la Marina ad un agricoltore.     La religione invece per insegnarla nelle nostre scuole non solo non è necessario essere sacerdoti – che parrebbe nato fatto per istruire religiosamente il popolo come gli avvocati sono nati fatti per difendere le cause… oibò, che vi pare? il prete nelle Scuole: molti inorridiscono al solo pensarvi: – non solo dunque non è necessario essere sacerdoti, ma non si richiede nemmeno l’essere cristiani.    Un maestro israelita può benissimo insegnare il Vangelo… e passi per gli israeliti! non sono sempre i meno cristiani: un ateo può benissimo dare ai fanciulli la prima idea di Dio.

         E come lo Stato non esige per l’insegnamento religioso nessuna competenza professionale, nessuna neanche la più elementare, così non dà nessuna abilità tecnica.     Nelle sue Scuole Normali, fabbriche all’ingrosso di Maestri e Maestre, lo Stato insegna Grammatica, Storia, Aritmetica, Calligrafia… a coloro che di tutto questo dovranno poi dare al popolo i primi, non sempre facili, rudimenti.     Ma la religione non si sogna neanche di insegnarla, o anche solo di lasciarla insegnare, a quelli che pure dovranno essere maestri.

     (segue a pag. 2)

     

    * Pubblicato con il titolo “Un grido d’allarme (contro l’indifferenza in fatto di religione)” dalla Tip. della Pace, Lodi 1900, e ristampato in “Le vie della fede. Contributi apologetici”, Libreria Pontificia Federico Pustet, Roma 1903, pagg. 141-161.

     

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  • Del sentimento religioso considerato come oggetto e fattore di educazione

    Del sentimento religioso considerato come oggetto e fattore di educazione

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     Archivio Barnabitico di Roma
    Manoscritto n. 165 

     

     

    A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:

     

    A. Il Testo:

    Un grazie dapprima e sincero alla Società che mi ha voluto considerare nella mia qualità di maestro –  qualità o funzione che assorbendo la miglior parte della mia giornata, è il modesto orgoglio della mia vita.   Maestro e sacerdote ad un tempo era   ben naturale che, parlando in una società magistrale, scegliessi a tema del mio discorso il sentimento religioso.  Ché, per fortuna, esso non è ancora divenuto intieramente straniero nella nostra scuola, mettiamo pure che te lo abbiano confinato nelle scuole elementari, come se a dieci anni cessasse per l’uomo il dovere della religiosità   o   questa si potesse e dovesse considerare allora come bella e formata.   Ma se la  religione, almeno nelle prime scuole elementari, rimane, la pedagogia religiosa è da noi completamente trascurata.   Nelle scuole normali, dove non so quale cosa non s’insegni alle future maestre, e dove bene o male queste s’addestrano, s’iniziano a quelli che saranno poi i loro insegnamenti, la religione brilla per la  sua assenza.     Questo aver conservato la religione nelle  Scuole elementari, scacciandola dalle Scuole  normali è una delle tante incoerenze che tradiscono una età di transizione, e un poco anche la pusillanimità per non dir peggio degli uomini che da una cinquantina d’anni governano il nostro paese.    Fuor della  Scuola, nel tempio dove si sente più che per l’addietro il dovere della concezione religiosa del popolo cristiano, i problemi pedagogici che tale educazione implica s’intravedono, non si possono dire ancora   risolti.     Il tema si presenta così davanti a noi con quella specie di verginità che fa l’uomo tutt’insieme più bramoso e più timido di affrontarlo.   Il timore è in gran parte sgombrato in me dal fatto d’essermi proprio in questi giorni capitati fra  (le) mani varii libri d’alto valore che forniscono alla soluzione del   problema nel   titolo del discorso apertamente accennato, preziosi elementi.

    *              *

    *

    Il libro, questa cosa  tanto provvidenziale moderna, dà   luogo   tra l’altro a strani convegni.   Nello   stesso   scaffale   o   sullo   stesso tavolino s’incontrano spesso, la merci del libro, uomini che sono agli antipodi magari, vuoi fisicamente, vuoi, ciò che più importa moralmente parlando: un Emerson può trovarsi con Platone, e un Nietsche può riposare sopra la Morale Cattolica d’Alessandro Manzoni.     Ora di questi giorni nella mia povera cella s’incontrarono così un gesuita e un positivista, un brillante abate francese e  un acuto filosofo americano.     Permettetemi ch’io vi presenti questi ospiti che mi suggerirono, chi ad un modo e chi ad un altro, tutta si può dire, la mia conversazione odierna.

    Luigi Valli [1]  – un giovane signore romano che,rara avis, trova nella ricchezza stimoli e mezzi per gli studi più severi – è venuto a visitarmi con un suo libro sul fondamento psicologico della religione, che è in fondo un’abile, direi se la stima personale di lui non mi costringesse a dir sincera, requisitoria contro la umana religiosità.   Riservandomi a dir poi una parola sulle conclusioni del suo libro, ne accenno qui il metodo [2].   Il lavoro tutto intiero è basato sulla distinzione tra la religiosità umana e le religioni che di quella sono la manifestazione.   È attraverso alle religioni storiche debitamente scrutate e analizzate, che il giovane autore si propone di giungere a determinar bene la religiosità umana – come chi attraverso ai capolavori dell’arte studiasse il  sentimento estetico d’un  uomo, d’un popolo,  o anche della umanità.        Merito [3] indiscutibile del Valli si è di non cercare la religiosità umana solo nella religione più bassa, come fanno pur  troppo molti pseudopositivisti, simili, in ciò, ad un biologo il quale studiasse la vita o unicamente o principalmente nelle   morene  –  ma di non cercarla neanche solo nelle più alte, come fanno alcuni razionalisti simili al biologo che si circoscrivesse nei  mammiferi.     Non   c’è forma o manifestazione di religiosità così alta nella storia umana che non abbia perché umana, qualcosa di umile e di   piccino – come, viceversa, non c’è religione così povera e bassa che non  abbia in sé, purché religione, qualcosa di nobile e di grande.    Altro merito [4] del Valli si è di  non   essere caduto in  un equivoco, a cui si presta la terminologia comune e anche da me adottata, in forza della quale parliamo di  sentimento   religioso.  Ciò suggerisce agli uni l’idea che il  sentimento religioso sia un sentimento sui   generis dagli  altri psicologicamente  diverso –   e a moltissimi insinua l’idea anche più erronea che la religiosità sia tutta e sola questione e affare di sentimento.     Idee sulle quali basta riflettere per scorgerne la vanità.   Il  sentimento religioso non è che il sentimento umano comune, nella sua varietà di gioia di dolore, nelle sue gradazioni di sentimento e di emozione, applicato  a un oggetto religioso.       E  la  sentimentalità non esaurisce psicologicamente la religiosità, pur entrando a costituirla: giacché un sentimento non è possibile  senza  una  rappresentazione che lo precede, e porta con sé una   serie di  desiderii,   propositi che lo seguono.    La religiosità umana ha così la sua base o radice in un mondo di rappresentazioni e la sua  esplicazione in atteggiamenti pratici e operosi della volontà.   Sono appunto le rappresentazioni religiose universali, ossia quelle che stanno sotto a qualunque religione, che il Valli cerca [5] – arduo lavoro dove gli ha nociuto il desiderio di unità,  il semplicismo.     Scolastico  senza saperlo e  volerlo, scartando artificialmente ogni altro elemento, riduce la religiosità come idea a una convinzione del trionfo del bene sul male, convinzione che è figlia unicamente del desiderio … misera illusione!    Così il libro che voleva essere a principio descrizione della religiosità umana e ricerca genetica, si risolve in un giudizio sul valore di essa, giudizio che è una condanna.   E al lettore s’insinua e  cresce nell’animo il sospetto, che la sentenza   abbia,   inconscio e nolente l’autore, influito sul processo, pregiudicandolo.

    *              *

    *

    Il P. Giorgio Tyrrell [6], nobile figura di pensatore e  di squisito scrittore  inglese, m’è  giunto in camera quasi contemporaneamente col suo  Lex orandi.   Il segreto del libro è nella  Prefazione.   Anch’egli muove dalla   religiosità umana come da un fatto – l’uomo è religioso, come è sociale, come è   estetico,   come è   intelligente.     Bene inteso si riscontrano gradi diversi di  religiosità, appunto come d’estetismo – ci sono persino delle atrofie religiose, come ci sono delle atrofie intellettuali, dei cretini –   ma l’uomo è religioso.   E allora c’è qui, soggiunge il P. Tyrrell,   un criterio sicuro [7] per giudicare delle religioni – sarà ottima quella, che come il Cristianesimo, appaga ottimamente le esigenze   intrinseche di questa spontanea umana religiosità.     Il dato positivo della religiosità umana che era per il  Valli  punto di partenza a una ricerca genetica, è per il Gesuita inglese punto di partenza a una speculazione apologetica.

    Né [8] diversa dal Tyrrell la trama del libro per cui ho rivissuto qualche ora buona coll’amico Ab. Klein  La   fait   religieuse   et   la maniere d’observer ” .   Piaccia o non piaccia la religione c’è al mondo, non imposizione di tiranni o inoculazione di sacerdoti astuti – il sacerdote non crea la religione, più di quello che il medico crei la malattia, o il giudice la giustizia – di fronte alla religione  il sacerdote è effetto, non causa, creato non creante.   La religione c’è, come c’è l’arte, come c’è la morale; e allora nulla ci vieta, anzi tutto c’invita a studiarla qual è nelle sue manifestazioni esterne, nel suo spirito intimo.   Ma lo studio qui vuol riuscire e riesce a una apologia per intanto del sentimento religioso stesso   … poi a suo tempo, perché il lavoro del Klein è  appena  incominciato, del sentimento religioso.

    Dai tre visitatori precedenti si stacca William James [9] vuoi per la mole imponente davvero, vuoi per il carattere della sua opera.   Il Professore americano era già noto al nostro pubblico per un massiccio volume di Psicologia e per certe conferenze pedagogiche.     Psicologo continua ad essere e psicologo puro vuol essere in questo suo volume novello, ch’egli intitolò La varietà dell’esperienza religiosa, e i traduttori italiani La coscienza religiosa.    Psicologo ricerca nell’anima umana le manifestazioni variissime   della religiosità, ma riserva esplicitamente quello ch’egli chiama giudizio di valore: è bene, cioè, o male la religiosità?  una forza da sviluppare, o una malattia da combattere?  riserva questo giudizio per tutto il libro, non così  però né  tanto che alla fine non accenni per sommi capi le ragioni della sua simpatia religiosa.

    *              *

    *

    I quattro libri [10] d’uomini  per nazionalità, educazione, professione così diversi hanno certi caratteri comuni   d’alta importanza che metto conto rilevare.

    Intanto [11] per prima cosa osservate, anche negli studi religiosi si passa dal campo astratto [12] delle idee, al campo positivo dei fatti – dalla metafisica alla storia e alla psicologia.     È   la   mentalità della nostra generazione che si afferma anche qui.   E su quel terreno scendono non gli increduli soli ma i credenti.    Gli uni e gli altri  però, e questo fa onore a tutti e due, vogliono un esame intiero dei fatti, non una scelta arbitraria.   Poiché cerchiamo luce nel campo psicologico e storico, cerchiamola intiera.     Quindi il positivista Valli non esclude il Cattolicesimo come fatto, mettiamo che  gli  sia antipatico, e il credente Klein non esclude il feticismo, per   quanto lo trovi mostruosamente imperfetto.   È in fondo il vero positivismo, la vera positività.   Il positivismo di coloro i quali si arrestavano (o forse ancora s’arrestano) ai primi tentativi o alle ultime degenerazioni della religiosità umana per conoscere  la  natura di questa, era un positivismo da strapazzo – tal quale come il verismo di quei poeti per cui non era vero che il turpe.

    Ma [13] un’altra cosa vorrei che osservaste insieme con questa positività buona, un’altra   cosa   importantissima, che niuno cioè riesce a mantenere in questa sfera di studi, per quanto decisamente positivo, la così detta  obiettività,  o neutralità.     Non ci riescono i credenti, e non è meraviglia, tanto più che essi neanche vogliono essere neutrali, e lo dicono – ma non ci riescono neppure i non credenti, che pure forse vorrebbero, che pure forse professano neutralità.   Vogliono e professano di studiare la fenomenologia religiosa, come si studierebbe la fenomenologia geologica e botanica – dove non c’è nessun bisogno di prender posizione per le cucurbitacee o contro le solonacee.   Qui la neutralità in pratica non riesce; l’argomento tocca troppo da vicino l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo.   Il Klein abate è per la religiosità, ma il Valli finisce contro… il Valli positivista, scienziato … finché si vuole, uomo sempre.    La metafisica, cosa essa che pure va scartata dall’indirizzo   positivo dello spirito moderno, risorge – scartata a principio risorge alla fine.    E come è fatale risorge, è bene risorga lì,   alla   fine, quando di tutto l’enorme materiale umano accumulato può fare tesoro.   E noi proprio di questo materiale fenomenico, storico e psicologico, faremo tesoro subito per il nostro problema [14]:   il   sentimento religioso è oggetto di educazione?

     (segue a pag. 2)

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  • Cristianesimo e Filantropia

    Cristianesimo e filantropia

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     Archivio Barnabitico di Roma
    Manoscritto n. 65 

     

    A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:

     

    A. Il Testo:

    Quello della carità, o m[iei] s[ignori], è un campo dove è facile, ed oggi frequente, il trovare uomini arrivati dai punti più diversi del mondo religioso.   Convegni siffatti oltre all’ essere indiscutibilmente utili pel sollievo più illuminato ed efficace delle umane miserie, di quelle miserie che sono ahimè così numerose, mi paiono ricchi di promesse e di speranze.

    Nel lavoro comune, specie poi quando questo sia lavoro di amore si fondono i cuori, e la fusione dei cuori mi sembra l’avviamento migliore alla concordia, all’armonia delle menti.   Armonia la quale non c’è a temere che avvenga per una condiscendenza di noi cristiani alle negazioni degli spiriti increduli, ma c’è piuttosto ragione di confidare che avvenga per una ascensione di questi acattolici alle affermazioni della nostra fede.   Anzi questa fiducia diviene fondata speranza ove si riesca a provare che il Cristianesimo è logicamente coinvolto nella filantropia come certo la filantropia è logicamente coinvolta nel Cristianesimo.

    Pieno io medesimo di un vivace desiderio di intellettuale concordia ottenuta colle vie del cuore è a tale dimostrazione che mi accingo.

    Non è dunque propriamente una critica della filantropia questa che intraprendo – o certo non è critica severa ed iraconda, ma benigna e serena.   Veggo quel che alla filantropia manca di fronte alla carità, ma mi appoggio volentieri a quello che la filantropia già possiede di bene per invitarla ad integrar sé medesima nell’umile accettazione di quel che il Cristianesimo le porge.

    Piuttosto che condannare assolutamente la filantropia vorrei incoraggiare i filantropi – piuttosto che maledirla come un vizio amo scorgere in essa una virtù incompleta ma perciò stesso un principio che non ha se non da svilupparsi lealmente per diventar perfetto.

    Procedendo in tal guisa però, mostrando che non si dà filantropia vera e piena senza Cristianesimo dovrò pure soggiungere che non si dà Cristianesimo vero senza filantropia.

    Così il discorso si rivolgerà successivamente alle due parti in che si divide la società difettosa al punto di vista della carità cristiana.

    Io rammento, signori, una parola del Cristo ai suoi: Siate misericordiosi come il Padre celeste è miser(icordioso).

    Ebbene una parte della nostra società accetta il siate misericordiosi ma non crede alla misericordia del Padre celeste anzi s’arresta dubbiosa a pensare se un padre ci sia.   Ma intanto un’altra parte della società che ammette Dio e la sua misericordia non intende quella che a nome ed esempio di Lui dovrebbe esercitare.

    Abbiamo filantropi senza religione e Cristiani senza filantropia. Agli uni vorrei dire: Fatevi Cristiani per esser davvero filantropi – ma agli altri soggiungo: Divenite filantropi se volete essere praticamente Cristiani. E sarà questo della carità – carità altamente ispirata, carità praticamente efficace, il miglior ricordo che di questa quaresimale predicazione si possa lasciare.

    Ai meno credenti fra voi insegnerò una delle vie migliori per riacquistare la integrità della fede, ai più credenti il solo mezzo di rendere la loro fede solidamente feconda e per fecondità di opere meritorie dinnanzi a Dio e [ ] dinanzi agli uomini.

     

    B. Per approfondire:

    – G. Semeria “La questione sociale e la Chiesa” in “Rivista internazionale di scienze sociali e Discipline Ausiliarie”, a. 1893, vol. II, fasc. 8 (Agosto 1893), pagg. 554-578;

    – G. Semeria “Le forme nuove della carità cristiana. Discorso per la festa della beneficenza della Società Operaia cattolica San Giovanni Battista De Rossi”, Tipografia Sallustiana, Roma, 1895 [ristampato in “Idealità Buone“(1901, pagg. 143-161) con il titolo “Per gli operai”];

    – G. Semeria “La felicità nella fraternità.  Appunti” in “In cammino”, 1901, pag. 213;

    – P. J. Séméria ”La charité dans la science et la science dans la charité” in “Annales de philosophie chrétienne”, 1901, pagg. 465-485;

    – G. Semeria “Per la posa della prima pietra dello Stabilimento dei giovani derelitti: VIII maggio MCMI”, Stabilimento Tipografico Unione Genovese , Genova 1901;

    – G. Semeria “La carità della scienza e la scienza della carità“, Cogliati, Milano, 1900, ripubblicato in “Le vie della fede. Contributi apologetici“, Libreria Pontificia Federico Pustet, Roma 1903, pagg. 45-70;

    – G. Semeria “L’eredità del secolo“, Federico Pustet, Roma 1900, ristampata, in edizione contraffatta, a cura della Tipografia “L’Arte Bodoniana” di L. Rinfreschi, Piacenza 1903 e dell’Editore Madella, Sesto S. Giovanni 1916;

    – G. Semeria “Un raggio di scienza e di carità sull’alba del secolo“, Desclée Lefebvre, Roma 1901, ristampato in “Le vie della fede. Contributi apologetici” (1903), pagg. 115-139;

    – P. Giovanni Semeria “Le tre coscienze, loro genesi e loro natura” in appendice a: G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, Ed. Dehoniane, Roma 1988, pagg. 247-262;

    – G. Semeria “Forme pratiche di solidarietà operaia” in appendice a: G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, Ed. Dehoniane, Roma 1988, pagg. 262-269;

    – G. Semeria “Fiducia nei valori sociali moderni”(1903) in “Studi Minozziani”, a. VI, Potenza 2002, pagg. 95-98;

    – G. Semeria ““Idealità buone: Per la scienza – Per la patria – Per il secolo – Per le donne – Per i giovani – Per gli operai – Per la musica – Per i monti – Per la ginnastica – Per le feste”,  Federico Pustet, Roma 1904;

    – G. Semeria “La carità” in “Cor unum” (a beneficio dell’Asilo Naz. gratuito per le figlie dei condannati), Stab. A. Debatte, Livorno 1909, pag. 13;

    – G. Semeria  (Filantropo) “Sui cavalli che pensano e gli uomini che discutono”   in “Rassegna Nazionale”, 1° aprile 1913, pagg. 529-534;

    – P. Giovanni Semeria “Da una lettera del padre Semeria al Comitato Nazionale per l’Assistenza religiosa nell’Esercito” in “Fede e patriottismo: l’opera dei comitati assistenza religiosa. Comitato nazionale assistenza religiosa”,  Scuola tipografica salesiana, Roma 1918;

    – P. Giovanni Semeria “Lettere pellegrine”, Vita e Pensiero, Milano 1919, ripubblicato da Edizione Osanna, Venosa 1991;

    – G. Semeria “Il fuoco dell’incendio e l’incendio della carità”  in “Mater Divinae Providentiae – Mater orphanorum”, novembre 1929;

    – G. Semeria “La carità del chiedere” in “Mater Divinae Providentiae – Mater orphanorum”, gennaio 1930;

    – P. Giovanni Semeria “Tutte le strade menano alla carità” (Dal Quaresimale inedito di Fra Galdino) in “Mater Divinae Providentiae – Mater orphanorum”, aprile 1930;

    – G. Semeria “Unione per il bene. Pagine sulla carità”, L.I.C.E., Torino 1932;

    – G. Semeria “Sentimento e Carità” in “I Barnabiti”, giugno-luglio 1932, pag. 190;

    – G. Semeria “Armonie nostre” in “Evangelizare”,  a. VI (1967), n. 6 (giugno),  pagg. 166-167 [anche in “Mater Divinae Provvidentiae – Mater orphanorum”, Gennaio 1923];

    – G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, Ed. Dehoniane, Roma 1988;

    – G. Mesolella “Padre Giovanni Semeria e l’impegno della carità alla luce del Concilio Vaticano II” in  “Studi Minozziani”, Potenza, a. II (1998), pagg. 5-40;

    – G.G. Monaco “Padre Giovanni Semeria e i volti della Carità” in “Studi Minozziani”, a. VI, Potenza 2002, pagg. 59-73;

    – A.M. Gentili “P. Giovanni Semeria nel 75° della morte” in “Barnabiti Studi”, n. 23 (2006), pagg. 291-328;

    – G. Mesolella “La carità della Scienza in Padre Giovanni Semeria” in “P. Giovanni Semeria Servo degli orfani. Ricerche poetiche”, Atti del 12° Concorso Nazionale di poesie e disegno” (a cura di G. Di Cicco e P. Mesolella), Grafiche Mincione, Sparanise 2006, pagg. 7-16;

    – G. Mesolella “L’Umanesimo cristiano tra pensiero e azione in Padre Semeria” in “P. Giovanni SemeriaServo degli orfani. Ricerche poetiche”, Caserta24ore, 2007, pagg. 11-20;

    – Filippo M. Lovison (a cura di), “A 75 anni dalla morte del Servo di Dio P. Giovanni Semeria. Una coscienza insoddisfatta“, Atti del Convegno tenuto a Roma il 15 marzo 2007, in Barnabiti Studi. Rivista di Ricerche storiche dei Chierici Regolari di San Paolo (Barnabiti), Roma, a. 25 (2008);

    – G. Semeria “Zelo religioso” in ”A 75 anni dalla morte del Servo di Dio P. Giovanni Semeria. Una coscienza insoddisfatta”, ”Barnabiti Studi” n. 25 (2008), pagg. 9-14;

    – G. Mesolella “P. Giovanni Semeria e la questione meridionale” in  ”A 75 anni dalla morte del Servo di Dio P. Giovanni Semeria”, “Barnabiti Studi”, n. 25 (2008), pagg. 315-350;

    – C. Faiazza “Semeria-Minozzi: la carità in azione”  in  “A 75 anni dalla morte del Servo di Dio P. Giovanni Semeria…”, “Barnabiti Studi”, n. 25 (2008), pagg. 401-405;

     

    (continua a pag. 2)

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  • Il Partito Cristiano Sociale

    Il partito cristiano sociale

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     Archivio Barnabitico di Roma
    Manoscritto n. 72 

     

    A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:

     

    A. Il Testo:

    Ci siamo oggi lungamente intrattenuti, io e due amici che seguono da anni attentamente e sur placeil moto austriaco, sulla genesi e la importanza del partito cristiano-sociale, nonché sulle attinenze tra l’Austria e l’Italia.   Credo utile riferire la conversazione nella sua schiettezza.   Chi si ferma poco in un paese non può controllare quanto gli viene riferito: ma la verità ha una sua verosimiglianza fortunatamente!

    Bisogna per intendere la genesi e spiegare la fortuna relativamente rapida del partito cristiano-sociale risalire allo sviluppo della città di Vienna, perché   la capitale  è stata la culla, come  è ancora la rocca del nuovo movimento.   Vienna dal 59, dal 66 in poi subì la legge di sviluppo propria di tutte le capitali dei grandi Stati.   La   vecchia città si allargò: fu tracciato il Ring, furono intraprese enormi costruzioni.   In tutto questo specularono fortunatamente gli Ebrei, che perciò o soli o meglio degli altri superarono la terribile crisi del 1873, ma divennero singolarmente dopo questa crisi il bersaglio dell’odio che il capitale troppo fortunato e non troppo  onesto si accumula  sempre contro.   Nasce così l’ antisemitismo sotto la forma, che si è sempre storicamente formidabile, della invidia sociale.   Naturalmente qui l’invidia si acuisce e si alimenta colle ragioni di razza e di   religione.   Ci   voleva per dar corpo a questo sentimento ancora vago un uomo e una piattaforma.   L’uomo fu il  Lucger, tanto amato e tanto odiato: egli si rivolse alla piccola borghesia, quella che i  nostri cronisti del 300 avrebbero chiamato il  popolo minuto, il popolo vero d’una città come Vienna non essenzialmente industriale, popolo di piccoli commercianti, e lo eccitò gridando al pericolo del   grosso commercio giudaico.     La facile piattaforma fu una serie di   provvidenze   tutrici  del commercio minuto contro la  speculazione  delle grandi  compagnie e dei grandi magazzini.   Il   movimento che aveva per sé  il popolo viennese, e un primo Lucger, si   rivolse diretto e con parole efficaci,  si  accaparrò per il suo carattere antigiudaico le simpatie ardenti del clero secolare e regolare, basso e via via anche alto.   S’è formato così a poco a poco un vero blocco che si chiamò da sé  cristiano in antitesi e per l’antitesi col giudaismo: blocco il quale oltre il contenuto economico e religioso ebbe anche ed ha un contenuto e una importanza politica.

    L’Austria si stava perdendo nella contesa delle nazionalità: nel che men di questo nessuno si ricordava più o tutti si andavano scordando d’essere Austriaci, perché gli stessi tedeschi si  consideravano piuttosto… come tedeschi.   Il Lucger, e qui l’uomo è  nominato in quanto rappresentativo, ha contribuito a ridare in Vienna la popolarità al sentimento austriaco.     Vienna  per lui non è una città tedesca: Vienna è una città austriaca.

    Quando si scriverà la storia, mi diceva una signora molto intelligente, si dovrà dire che noi uomini di quest’alba del secolo XX abbiamo assistito a una specie di resurrezione dell’Austria, e quando si vorrà cercare nei nomi una spiegazione di questo accanto al nome di Francesco Giuseppe bisognerà scrivere quello del burgmeister Lucger.   Questo lato politico del moto cristiano-sociale è quello che deve determinare scarse  simpatie pangermaniche e dovrebbe determinare simpatie italiane.

    Il moto che fin qui economicamente significava difesa della piccola proprietà e del piccolo commercio contro il grosso capitale, difesa religiosa di interessi cristiani contro gli Ebrei, era ristretto o quasi alla capitale: era un partito viennese.   L’ambizione di Lucger era di farne un partito imperiale.   L’occasione gli fu offerta dalla nuova legge del suffragio universale.   Le elezioni portarono bensì al potere più socialisti di quello che si temeva universalmente; ma portò anche molti cristiani-sociali e soprattutto convinse i clericali di vecchio stampo che essi non potrebbero nulla senza i cristiano-sociali,   come questi non potrebbero quanto ambivano senza l’appoggio dei così detti clericali.     Le due ali si fusero e il partito potè assumere nel Parlamento una parte preponderante.

    Il sociologo ha qui da osservare il connubio delle due forze economiche e religiose: l’evolversi del vecchio clericalismo nella nuova democrazia cristiana.   Il sociologo maliziosetto e malevolo dirà che la democrazia investe anche il vecchio cristianesimo, che questo fa uno sforzo supremo e innaturale per ringiovanirsi.   Chi pensa invece quanto fondo sanamente democratico ci sia nel Vangelo non si meraviglierà di un connubio, che ha certo i suoi lati nuovi, problematici, magari pericolosi ( qual opera di vita fu mai   senza   rischi), ma che promette d’essere così vigorosa e feconda di frutti così religiosi come sociali.   Il mondo austriaco per queste vie si trasforma: ecco la realtà innegabile.   Il popolo avrà tutta una serie di riforme elevatrici, avrà necessariamente tutta una nuova educazione politica,  che lo stesso partito liberale non gli ha saputo dare.

    Quanto a questo fenomeno del connubio economico-religioso, è  interessante a studiarsi il lato politico.   L’Austria esce da questo crescere del partito cristiano-sociale,  esce più   forte.   Dobbiamo noi Italiani rallegrarcene o dolercene?   Ecco  se  noi  continuiamo  ad  essere dei sentimentali impenitenti, dei quarantottisti cristallizati, malediciamo a Lucger, ai cristiani-sociali, all’Austria risorgente.   Ma la politica estera soprattutto non si può fare a base di sentimentalità vaghe; il 48 è passato e la condizione generale d’Europa è oggi ben diversa da quella d’allora.   C’ è tuttavia fra noi chi spera che alla morte di Francesco Giuseppe quem Deus diu sospitem servet l’Austria si debba sfasciare.   Ahimè cosa ci guadagneremmo noi?   noi Italiani?   Forse di avere Trento: certo d’ avere alle porte, d’avere sull’adriatico con Trieste per porto un Impero Germanico forte subito di  ben 80.000.000 d’uomini che potrebbero divenire diventare anche 100: un impero essenzialmente militare,   un Impero che sarebbe una minaccia terribile per tutta l’Europa.   Se non ci fosse l’Austria bisognerebbe crearla e poiché c’è bisogna mantenerla e benedire chi la mantiene salvando l’Europa e noi da una spaventosa egemonia di un rinnovato Impero, che sarebbe come il Romano militaresco, ma non sarebbe più sacro.   Questa è la realtà, tutto il resto è poesia.

    Ma l’Austria limite alle ambizioni pangermaniste, ove sia e rimanga fortemente costituita in sé  stessa, ove appaia a Tedeschi e Ungheresi e Boemi come una patria, non sarà una minaccia per l’Italia?   La difenderà dalla Germania ma la insidierà per conto proprio.   Anche qui bisogna intenderci.

     

    B. Per approfondire:

    – G. Semeria “La questione sociale e la Chiesa” in “La Rivista Internazionale di scienze sociali”, Roma, agosto 1893, pagg. 554-578;

    – G. Semeria “Dalla conferenza «Giovani cattolici e cattolici giovani»” in “Strenna del Circolo S. Alessandro di Genova” a. 1897, pagg. 103 e segg.;

    – G. Semeria “Azione cattolica sostanza vecchia in forma nuova”, Conferenza tenuta nella Chiesa di S. Carlo ai Catinari di Roma, pubblicata, in sunto, su  “La Cultura Sociale”, 6.12.1898, pag. 384;

    – G. Semeria “L’Eredità del secolo”, Pustet, Roma 1900, pag. 9;

    – G. Semeria “Democrazia cristiana e socialismo” in “Il Risveglio Cattolico” di Mondovì, a. IV, n. 53 del 3.07.1901;

    – G. Semeria “Le vie della fede. Contributi apologetici“, Libreria Pontificia Federico Pustet, Roma 1903;

    – G. Semeria ““Idealità buone: Per la scienza – Per la patria – Per il secolo – Per le donne – Per i giovani – Per gli operai – Per la musica – Per i monti – Per la ginnastica – Per le feste”,  Federico Pustet, Roma 1904, pag. 27;

    – G. Semeria “L’eredità del secolo“, Federico Pustet, Roma 1900, ristampato, in edizione contraffatta, a cura della Tipografia “L’Arte Bodoniana” di L. Rinfreschi, Piacenza 1903 e dell’Editore Madella, Sesto S. Giovanni 1916;

    – G. Semeria “lettere pellegrine”, Soc. Ed. Vita e Pensiero, Milano 1919;

    – G. Semeria ”   “Gioventù cattolica e partiti politici ” in “Conquista popolare” , 3.10.1922;

    – G. Semeria “Politica in diciottesimo” in “Vita Nostra”, Firenze, a. I, n. 2 (febbraio 1921), pagg. 54-56; a. II, n. 1 (gennaio 1922), pagg. 2 e segg.; a. III, n. 1 (gennaio 1923), pagg. 106 e segg.; a. III, n. 1 (gennaio 1922), pagg. 79 e segg., pagg. 101 e segg., pagg. 106 e segg., pagg. 140 e segg., pagg. 207 e segg.;

    – G. Semeria *Liberalismo socialismo comunismo e Democrazia cristiana”, La Diana Scolastica, Bologna 1948;

    – P. Scoppola “Coscienza religiosa e democrazia nell’Italia contemporanea”, Il Mulino, 1966, pag. 321;

    – C. Argenta “Un maestro di impegno civile per i cattolici di ieri e di oggi” in “L’Avvenire d’Italia” Bologna 15.12.1967;

    – G. Semeria “I miei quattro Papi (Benedetto XV)” vol. II, scuola Tip. Orfanotrofio Maschile, Amatrice 1931, pag. 148;

    – F. Sala “Padre Semeria Barnabita”, L.I.C.E., Torino 1941, pag. 181;

    – G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, Ed. Dehoniane, Roma 1988, pagg. 177-180;

    – G. Semeria “Le tre coscienze, loro genesi e loro natura” in appendice a: G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, op. cit., pag. 261;

    – G. Semeria “Lettere ai giovani cristiani” (a cura del gruppo editoriale Zaccaria), La Voce, Milano 1990;

    – G. Mesolella “P. Giovanni Semeria e l’educazione alla responsabilità” in “Evangelizare”, a. IV, n.1/2, gen./feb. 1999, pagg. 4-5;  n.3/4, mar./apr. 1999, pagg. 11-12;  n.5/6, mag./giu. 1999, pagg. 4-5;  n.9/10, set./ott. 1999, pagg. 6-7;  n.11/12, nov./dic. 1999, pagg. 4-5;

    – A.M. Gentili “P. Giovanni Semeria nel 75° della morte” in “Barnabiti Studi”, n. 23 (2006), pagg. 329-377;

    – D. Veneruso “P. Giovanni Semeria e la democrazia”  in  ”A 75 anni dalla morte del Servo di Dio P. Giovanni Semeria”, “Barnabiti Studi”, n. 25 (2008)., pagg. 265-276;

    – G. Mesolella “P. Giovanni Semeria e la questione meridionale” in  ”A 75 anni dalla morte del Servo di Dio P. Giovanni Semeria”, “Barnabiti Studi”, n. 25 (2008), pagg. 315-350;

    – G. Mesolella “Padre Semeria. L’impegno dei cattolici nella società e nella Chiesa” in “Evangelizare”, a. XXI, numero speciale (luglio-agosto 2014), pagg. 6-34;

     

    (continua a pag. 2)

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  • Una parola da buoni fratelli su un interesse comune (1890)

    Una parola da buoni fratelli

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     Archivio Barnabitico di Roma
    Manoscritto n. 68 

     

    Lettera al Direttore della “Voce” sulla partecipazione dei cattolici alla vita politica

    A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:

     

    A. Il Testo:

    Pregiatissimo Signor Direttore,

    Le sarò da parte mia molto riconoscente se, quand’Ella lo giudichi opportuno, vorrà far un posticino nel suo giornale così benemerito della buona causa a queste mie chiacchiere.

    Giorni addietro comparvero sull’Unità Cattolica varie lettere che io conosco solo per qualche brano riferitone in altri giornali più specialmente per un articolo della Voce della Verità , dove ne erano riassunti i concetti fondamentali.   In quelle lettere e in questo articolo si dimostra od almeno si cerca di mostrare essere opportunissimo e direi quasi necessario che i cattolici continuino in quella astensione dalla vita politica, che s’è finora seguita.   Avendo io in animo di esporre alla buona quelle considerazioni che da lungo tempo mi fermentano in capo e che quegli articoli hanno eziando più vivamente ridestato m’è necessario premettere alcune avvertenze per non dar luogo ad equivoci.

    Sono cattolico e quindi debbo e voglio innanzi tutto mantenuta l’ obbedienza e la carità.   L’obbedienza, come è chiaro, mi fa esternamente ed internamente rispettoso per le disposizioni del Papa, a cui spetta dirigere la lotta e tracciare la linea di azione.   Or bene il Papa sulla questione della partecipazione alla vita pubblica si è pronunciato abbastanza chiaramente da non venir frainteso. Però mi si permettano due osservazioni che mi paiono giuste. Le disposizioni del Papa a questo proposito non sono di quelle disposizioni assolute che non possono venir mutate, come tutte le disposizioni dogmatiche e morali. Qui si tratta invece, e su questo punto non ho mai veduto far questione, di una misura di prudenza, d’una linea d’azione che domani il Papa, cessate certe ragioni e sortene certe altre, potrebbe credere opportuno di cangiare.   Ora i lodati articoli contengono oltreché la giustificazione della politica presente, un accenno quanto si vuole implicito alla futura, checché ne sia, delle intenzioni degli scrittori (delle quali non ho certo il segreto).   Dai loro scritti traspare questa aspirazione che pel bene vero della Chiesa e dell’Italia, bene che niun cattolico italiano può scompagnare, si continui nell’astensione finora praticata.   Chi dice: la strada che si batte hic et nunc è buona, ed è la sola buona, un’altra strada per cui qualcuno vorrebbe mettersi mena al deserto e al precipizio, costui, voglia o no, viene a dire: Teniamo ora e sempre la stessa strada, né la si cangi per tutto l’oro del mondo.   Orbene se si può legittimamente aspirare ad una politica avvenire che sia la continuazione della presente, non veggo perché non si possa aspirare ad una politica che ne sia diversa: giacché esiste forse anche per gli anni avvenire qualche disposizione del Papa?   Se si lavora con gli scritti a preparare la continuazione non vedo perché non si possa preparare una qualche novità.

    Ma dell’avvenire lasciamo alla Provvidenza il pensiero, e fermiamoci nel presente. Stando al presente mi preme che si distingua tra una disposizione e le ragioni che non il Superiore, mai suddito, anche ottimamente intenzionati ne arrecano.   Se il Papa ha manifestato particolari ragioni e precise dell’ordine dato d’astenesi dalle urne politiche, io mi guarderò bene dal disertarle. Ma finché mi si portano da altri che non è il Papa delle ragioni che possono essere quelle del Papa e possono non esserlo, mantengo il mio diritto di discuterle.   Ed è questo diritto precisamente che vorrei esercitare in queste noterelle. Col che, ben inteso, non intendo punto di ledere la carità.    Se ci fu e ci è al mondo discussione che non debba offendere la carità è certo quella che si fa tra cattolici e più che altro la presente.   Siamo cattolici e ciò vuole dire che siamo fratelli non solo in Adamo non solo in Gesù Cristo, ma fratelli nella vera famiglia di Gesù che è la sua Chiesa: abbiamo comuni le aspirazioni e i principii. Il che non toglie, è vero, che ciascuno non possa avere sul modo migliore di attuare i principii e realizzare le comuni aspirazioni qualche sua veduta particolare, e che non possa nei limiti concessi palesarla; ma toglie che tale manifestazione sia a detrimento della carità, perché non lede l’ unione che della carità è la base: in necessariis unitas. Ed affinché i modi  della manifestazione non rendano nociva alla carità quella manifestazione che in sé medesima è innocua, farò del mio meglio per tenermi entro i limiti di una discussione  non solo urbana, non solo amichevole, perché non siamo solo uomini ed amici, ma fraterna, perché siamo e vogliamo essere fratelli.   Perciò stesso protesto di rispettare le vedute di coloro con cui imprendo a discutere ed anticipatamente ritiro ogni parola che potesse sembrare offensiva. Solo prego tutti a volermi leggere spassionatamente, e se qualcuno desse mai tanto peso a queste chiacchiere da voler rispondere, aspetti a farlo quando avrò finito di esporre tutto il mio pensiero.

    Dopo questo preambolo, a dir vero un po’ lungo ma non inutile, eccomi all’articolo della Voce della Verità (Venerdì 25 aprile 1890 Le mani nette).   Dopo un esordio molto più breve del mio l’articolista entra in materia.   La sua impresa, il suo obiettivo è precisamente quello di disilludere il manipolo di illusi che aspirano al vanto di essere i pionieri di una nuova maniera di svolgere l’azione cattolica nella società civilee nella politica italiana. Il qual linguaggio mira, implicitamente, a gettare su di costoro quel dirò così disprezzo che accompagna sempre, volis nolis (vuoi o non vuoi ndr) la minoranza; e molto più quella che invece di poter mostrare dei fatti passati o presenti non può mostrar che aspirazioni.   Su questo manipolo l’articolo della Voce ama di scherzare urbanamente e la fine, rispondendo secondo le migliori regole, al principio li battezza appunto come i poeti della gran questione che oggi si dibatte tra la Chiesa e lo Stato italiano.

    Quando sarò anch’io giunto alla fine (chi sa quando? perché senza aver ancora un concetto molto esatto dei limiti entro cui mi conterrò, ho un  quasi presentimento che non debbano essere troppo bravi) sarà il momento di dire una parola su questa poesia.   Intanto restringendomi alla quistione del numero, dirò che l’osservazione è al tutto fuor di proposito. Dapprima non credo che si sia mai fatto nessun censimento per contarli. In secondo luogo ci sono molti, forse più che la Voce non pensa, i quali appartengono a questo manipolo, ma non tutti hanno modo di farsi sentire, né hanno la smania di far sapere le loro aspirazioni. Ciò non ostante gli ultimi fatti di Roma all’Unione Romana (fatto che la Voce ha avuto la prudenza di seppellire in un glaciale silenzio) mostrano abbastanza se, almeno qui in Roma, sono poi tanto pochi questi pionieri: e fuor di Roma, non credo che sian meno, se pur non sono di più.   Ma, detto questo, unicamente per metter le cose al loro posto e per far conoscere tutta intera la verità, soggiungerò tosto che i conti sul numero li tengo, come ho detto, fuor di proposito. Non si tratta di vedere se sono pochi o molti, ma se sono illusi o in senno. La Voce li tratta da illusi: ma importa discutere le ragioni di una sentenza, che non è inappellabile.

    Il primo argomento della Voce è questo: Che cosa andreste voi a fare nel Parlamento? Voi non potreste risolvere la quistione romana, che è l’unica quistione interessante pei Cattolici Italiani.   Dunque è inutile che ci andiate.   Anzi sussume, la Voce … ma lasciamo la sussunta per quando avremo detto una parola sull’argomento.

    “Partecipando alla vita politica i Cattolici non possono sciogliere la Quistione Romana.”

    La Voce è un giornale logico, mi permetterà l’uso delle distinzioni.   Ebbene io distinguo: Subito lo conceda. Bisognerebbe essere ben ingenui per immaginare quest’ordine di avvenimenti. Domani il Papa dice: Figli della Chiesa e dell’Italia vi lascio libertà di provvedere in tutti i modi legali alla salute d’entrambe.   Il giorno dopo si fanno le elezioni: i Cattolici maggioranza o minoranza che riescano entrano in Parlamento e vi propongono il trasporto della capitale a Firenze etc.   Ma da non poterla risolvere subito ne vien forse che non potrebbero far nulla per questa benedetta quistione?   Qui parliamoci chiaro, franco e sgombriamo dalle illusioni.

    Primo: essi avvierebbero almeno una qualche soluzione di questa quistione, mentre astenendoci non ne avviamo nessuna.   Questo primo punto mi par chiaro come la luce del sole: chiaro che la partecipazione alla vita pubblica è un qualche avviamento a sciogliere una quistione pubblica: chiaro pure che finora un avviamento pratico non l’abbiamo. Infatti che cosa possiamo noi oggi fare per questa quistione?   Pregare che è la miglior cosa, ma non sufficiente, in questo senso che Dio non aggiusta, almen di solito, Lui direttamente le cose, ma si serve di mezzi creati, umani per aggiustar le cose create ed umane. Ma fuori della preghiera qual mezzo?   Io suppongo che domani si presenti alla Voce della Verità un giovane di bell’ingegno, di cuore e Le dica: Voglio far qualcosa per la Chiesa e la mia patria, e precisamente per sciorre la Quistione Romana. Che cosa mi consigliate? Qui per fortuna la Voce mi risponde nello stesso articolo: “Mano all’opera di sempre più allargare la propria attività tra le classi popolari e fra la gioventù per mezzo delle associazioni cattoliche, della scuola, delle opere religiose e della Stampa Cristiana.”

    (segue a pag. 2)


  • Il Patriottismo che è religioso presso tutti i popoli, in Italia è cristiano

    Il Patriottismo cristiano

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     Archivio Barnabitico di Roma
    Manoscritto n. 72 A 

     

    A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:

     

    A. Il Testo:

    Lo so, signori miei, un dissidio c’è oggi in Italia e pare che sia tra due sentimenti per natura loro e per tradizione storica concordi.   Né  io sono così ingenuo da credere di averlo composto o di poterlo comporre in un discorso – da credermi d’aver   convinto tutti  i patrioti ad essere cristiani… quanto ai cristiani il patriottismo l’ebbero come sacro dovere da quel Gesù che redentore della umanità ha prediletto la sua Gerusalemme…  la sua patria.

    Uscendo dal tempio ciascuno di noi riprenderà, lo so, il suo posto di battaglia.   Ma vorrei, o signori, che lo riprendessimo tutti con una lealtà degna dei cavalieri del buon tempo antico.   Pure intendendo la italianità in certe particolarità almeno,  diversamente rispettiamoci, non lanciamoci a vicenda l’insulto di nemici della patria, non facciamo di quello che dovrebbe  essere l’altare della concordia la pietra assidua della divisione e dello scandalo.

    E questo rispetto meritiamolo lavorando ciascuno al bene d’Italia sinceramente, non preferendo mai ai suoi gli interessi d’un partito.

    Amiamola l’Italia, miei fratelli cattolici, e lavoriamo in tutti gli onesti modi alla sua grandezza.   Non ci sia gloria di lei che ci lasci indifferenti lieti non sventura  di lei che non ci commuova.

    Rammentiamoci che un fatto solo vale mille proteste – che il paese sarà ed  è bene  è giusto che sia per chi a fatti avrà mostrato di amarlo di più.   Ma voi alla vostra volta, o miei fratelli liberali, siate d’ogni  cristiana libertà in  Italia sinceramente, profondamente rispettosi – non ripiegate mai non abbassate neanche nel santuario quella bandiera che avete fieramente eretta – ricordatevi che gli Italiani sono un popolo di credenti – ricordatevi che in un un profondo sentimento religioso  v’è il palladio d’una libertà così facile e pronta a degenerare in licenza e nella licenza condannata a corrompersi e disfarsi.

    Nel rispetto sicuro della libertà, nella schiettezza del sentimento religioso, nell’amore indomito alla patria prepariamo quella pacificazione religiosa d’Italia, che non dobbiamo aspettare o invocare come una bella e fortunata combinazione, ma che dobbiamo meritare dal cielo  come una grazia e affrettare agevolare noi con l’opera nostra.   Lavorateci voi giovani soprattutto, senza vincoli col passato e sicuri di energie per l’avvenire.

     

    B. Per approfondire:

    – P. Semeria “Pro Patria” (sunto della conferenza) in “La croce pisana: periodico settimanale”, fasc. 5, 4 febbraio 1900, pagg. 1-2;

    – G. Semeria ““Idealità buone: Per la scienza – Per la patria – Per il secolo – Per le donne – Per i giovani – Per gli operai – Per la musica – Per i monti – Per la ginnastica – Per le feste”,  Federico Pustet, Roma 1904, pag. 27;

    – G. Semeria “Prefazione” a: L. Lacroix “Il patriottismo”, Libreria Ed. Fiorentina, Firenze 1906;

    – G. Semeria  “Un abile manifesto per la pace”  in  “Rassegna Nazionale”, 1° ottobre 1913, pagg. 361-369;

    – G. Semeria (Mario Brusadelli) “La guerra di fronte al Vangelo” in “Vita e Pensiero”, Milano, a. I, fasc. 6, 10 marzo 1915, pagg. 72-75. Ristampato anche in: G. Semeria “Saggi… clandestini”, Ediz. domenicane, 1967, vol. II, pagg. 327-344;

    – G. Semeria “L’ideale cristiano e la guerra”  in “Voci amiche”, Milano, a. V, agosto-ottobre 1915;

    – G. Semeria “Les surprises de notre guerre” in “La Revue Hebdomadaire”, Paris, 4 aprile 1917, pagg. 5-29;

    – G. Semeria  (c.s.) “La filosofia della guerra in G. De Maistre ”  in “Rivista di filosofia neoscolastica”, Milano, a. VII (1915), fasc. I, pagg. 167-185. Ristampato anche in: G. Semeria “Saggi… clandestini”, Ediz. domenicane, 1967, vol. II, pagg. 155-180;

    – G. Semeria(c.s.) “I cattolici italiani e la guerra” in “Vita e Pensiero”, Milano, a. II, vol. IV, 30 settembre 1916, pagg.  186-195 [Risposta a una lettera di F. Olgiati];

    – G. Semeria “I nostri cappellani militari”, in “Touring Club Italiano”, a. XXII, 9.09.2016, pagg. 481-486;

    – G. Semeria “Introduzione” a: A. Gemelli  “Il nostro soldato. Saggi di psicologia militare”, Treves, Milano 1917;

    – P. Giovanni Semeria “Da una lettera del padre Semeria al Comitato Nazionale per l’Assistenza regiosa nell’Esercito” in “Fede e patriottismo: l’opera dei comitati assistenza religiosa. Comitato nazionale assistenza religiosa”,  Scuola tipografica salesiana, Roma 1918;

    – G. Semeria “Il patriottismo di Dante”,  Conferenza tenuta a Milano il 2 gennaio 1921;

    – G. Semeria “Glorificazione di guerrieri o apoteosi della guerra?” in “Corriere d’Italia”, 2.11.1921;

    – G. Semeria “Memorie di guerra”, Amatrix, Roma 1924;

    – G. Semeria “Nuove memorie di guerra”, Amatrix, Milano 1928;

    – G. Semeria “Luigi Cadorna soldato di Dio e della patria “ in “Mater Divinae Providentiae – Mater orphanorum”, febbraio 1929;

    – G. Semeria “Una vecchia questione che torna a galla (il patriottismo del Manzoni)” in “Scuola Italiana Moderna”, Brescia, 24 settembre 1930;

    – F. Sala “Padre Semeria Barnabita”, L.I.C.E., Torino 1941 (in edizione minore nel 1932);

    – G. Boffito “Semeria” in “Scrittori barnabiti o della Congregazione dei chierici regolari di San Paolo (1533-1933)Biografia, bibliografia, iconografia”, vol. IIIOlschki, Firenze 1934, pagg. 477-513 e vol. IV, Appendice, pagg. 440-441, 588-589 [anche in: S. Pagano “La scienza della carità e la carità della scienza nel servo di Di Padre Giovanni Semeria“, “Evangelizare” numero speciale a. III, n. 8, agosto 1996, pagg. 25-52];

    – G. De Sando “Giovanni Semeria cappellano militare, padre degli orfani di guerra: Ricordi ed aneddoti“, Liber, Milano 1934;

    – G. Minozzi “Ricordi di Guerra” 2 voll., Tip. dell’Orfanofrofio Maschile, Amatrice 1956, 1959;

    – G. Minozzi “Padre Giovanni Semeria” (a cura di R. Panzone), Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, Roma-Milano 1967;

    – V. Colciago “Note Biografiche” in introduzione a G. Semeria “Saggi… clandestini”, Ediz. domenicane, 1967, vol. II, pagg. 374-394;

    – G. Mesolella “P. Giovanni Semeria tra scienza e fede”, Ed. Dehoniane, Roma 1988;

    – G. Ravasi “Una preghiera per l’Italia” in “Famiglia cristiana”, n. 20, 1997, pag. 5;

    – A.M. Gentili “P. Giovanni Semeria nel 75° della morte” in “Barnabiti Studi”, n. 23 (2006), pagg. 291-328;

    – Filippo M. Lovison (a cura di), “A 75 anni dalla morte del Servo di Dio P. Giovanni Semeria. Una coscienza insoddisfatta“, Atti del Convegno tenuto a Roma il 15 marzo 2007, in Barnabiti Studi. Rivista di Ricerche storiche dei Chierici Regolari di San Paolo (Barnabiti), Roma, a. 25 (2008);

    –  I.R. Zanini “Padre Semeria. Destinazione carità”, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2008;

    – F.M. Lovison “Giovanni Semeria: dalle “Soirées italiques” belghe al patriottismo di Dante. Sottolineature europee” in ”Barnabiti Studi” n. 28 (2011), pagg. 173-244;

    – M. Squillaci “Il patriottismo umano di P. Semeria” in  “Evangelizare” a. XIX, n. 6 (giugno 2012), pagg. 4-6;

    – A. Miniero “Da Versailles al Milite Ignoto: Rituali e retoriche della Vittoria in Europa (1919-1921)”, Gangemi Editore, Roma 2016, pag. 212;

     

    (continua a pag. 2)

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